lunedì 23 dicembre 2019

Cosa resta dopo il 1989

467 - DISCUSSIONE SUL COMUNISMO
Cosa resta dopo il 1989
Sull’articolo di Dario Oitana nel numero scorso n. 466 de "il foglio" , novembre 2019 (www.ilfoglio.info) sul comunismo e il suo fallimento, come sul referendum fallito del 2016 e sul Tav, la redazione ha molto discusso. Come preannunciato, rendiamo partecipi i lettori di questa varietà di idee. (a. r.)

Se i poveri perdono la speranza
«Ora, a distanza di mezzo secolo [dai caldi anni Sessanta], sembra che solo “qualche cristiano” (forse un Papa) sia intenzionato a perseguire una politica a favore dei più poveri. “Qualche cristiano” che segue il cammino dei "comunisti perdenti", e cerca di tracciare una nuova via con umile, gandhiana mitezza». La conclusione di Oitana è bella e la condivido. Ma ‒ se non sbaglio ‒ tutto il tono del suo discorso è: il sogno del comunismo era troppo, doveva necessariamente cadere. È l'ideologia del bene che diventa male, dell'utopia che diventa necessariamente violenza. Non l'accetto. Ci vorranno secoli, ma l'essere umano è costituzionalmente creatore di u-topie giuste, di superamento di se stesso e della sua storia. C'è del divino nell'uomo. Anche del diabolico. Ma a cosa vogliamo guardare di più, dare spazio e voce? Come leggere la storia? Un cammino accidentato verso la luce, o trappola di topi condannati a scannarsi? (Sono due estremi, ma noi verso quale ottica propendiamo: a quella che dà coraggio, speranza e impegno, o a quella che tristemente registra il male invincibile?)
Non era sbagliato il sogno comunista, ma l'imporlo. Dobbiamo rispettare e onorare il sogno popolare del comunismo, la "speranza mal riposta" dei poveri (Mazzolari). Mal riposta, deviata, deturpata dalla violenza, ma speranza, virtù teologica presente nei poveri, non nei sistemati.
Papa Francesco dice che la realtà vale più dell'idea, ma ha ragione solo se si intende rispetto del grado attuale del cammino, senza forzarlo ad essere ideale. Non ha ragione se si intende nel senso del realismo senza ideali. Guardate la politica che ci rifilano: da un estremo all'altro è piatto realismo morto, passivo.
La realtà vista davvero è fermento, lievito, desiderio, creazione ribollente, frenata e tappata da chi prende il potere (economico, informatico, politico) come un oggetto che cresce solo in quantità, ma è secco come scheletro senza vita. L'utopia è la realtà della realtà. Uccidere l'utopia, e sostituirvi l'impresa lunare, la follia nucleare, la sostituzione dell'uomo col robot, la comunicazione con l'onni-controllo, è la morte dell'umanità. Queste quantità di potenza sono il "mal di troppo", cioè il cancro della nostra attuale umanità. Ma l'umanità cambierà, perché non è abbandonata alla propria follia. Dio ha mille nomi, ma il suo migliore nome è "non-ti-abbandono". L'utopia viva è che l'umanità viva ancora, contro questi nemici, riducendoli a quel che sono, strumenti, come le scarpe che vanno dove decido io.
Io credo che un foglietto come noi, un gruppetto, piccolo erede di grandi eredità umane, deve dire anche contro i tempi, proprio contro i tempi, cose come queste. Sul comunismo fallito dobbiamo dire che era nobile programma incarnato rozzamente, semplicisticamente, astrattamente, violentemente. Ma noi custodiamo l'idea: siamo uguali di valore, si vive solo insieme, solo il bene di tutti è il bene di ciascuno. Dobbiamo dire questo. Per urgenza di coscienza, e per dovere civile.
La speranza dei poveri non è ottimismo dogmatico. Quando i poveri, ingannati, perdono anche la speranza, tutto è perduto. Noi non siamo i poveri, ma dobbiamo aiutarli a vedere che la speranza è più grande e perpetua dell'inganno. Oggi bisogna essere comunisti, perché quel comunismo sbagliato è fallito, dunque bisogna farne uno più vero. Diciamolo.
Enrico Peyretti

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