sabato 30 novembre 2019

Meditazione sul tempo, 1 dicembre 2019

Domenica 1 dicembre 2019 - Avvento - Meditazione sul tempo
Mi pare che il tempo spirituale dell'avvento guardi ben oltre l'attesa del giorno della nascita di Gesù (convenzionalmente fissata nel soslstizio d'inverno). Mi pare che suggerisca di raccogliere da buone fonti qualche riflessione sul tempo.
Dio viene in Gesù in modo eminente, nella “pienezza dei tempi”, e viene sempre.
Come pensiamo Dio? Nel passato, all'origine (sì, anche) ma alle nostre spalle? Oppure lo pensiamo di fronte, all'orizzonte, che ci viene incontro?
Il tempo viene: ogni giorno è l'occasione nuova: non solo quella eccezionale, ma sempre l'occasione quotidiana: il tempo è una sorgente continua, non una cascata che va giù.
Ogni giorno e ogni momento sono importanti, decisivi: il “momento buono” (kairos) è sempre ora, davanti a noi.
Attendere lui, non solo la sera di Natale. Il vero natale è nascere e rinascere noi con lui ogni giorno. Vivere in avanti, anche da vecchi. Il bello deve ancora venire.
È bello ricordare, ma non con nostalgia (= dolore del ritorno impossibile), non voltati indietro. Chi muore, diciamo che “è tornato” alla casa del Padre. Forse meglio: è “arrivato” alla casa del Padre
Diventare “come bambini”: guardare avanti, crescere, andare incontro, scoprire le novità, con curiosità, sempre in movimento, anche inciampando! Così si cammina!Avere desideri! «Il tuo desiderio è la tua preghiera» (S, Agostino). Siamo esseri aperti, chiamati: «Il mio essere ha sete di te, o Dio!» (salmi).
Vivere è muoversi, cambiare, andare incontro all'avvenire che viene. Facciamoci trovare vivi dalla morte: «Attraversare la morte da vivi» (Carlo Molari)
La fede guarda avanti, non è una dottrina fissa: è fiducia, passi nuovi, tutta rivolta in avanti, è sporgersi in fuori, oltre la sicurezza.
«La Scrittura cresce con chi la legge» (S. Gregorio Magno): cioè, si capisce meglio, in modi nuovi. Fedeli e nuovi. «Lo Spirito vi guiderà in tutta la verità» (Gv 16,13). La fede cambia per essere fedele, come la vita cresce sempre: siamo sempre noi e siamo sempre altri. La Scrittura non è un libro chiuso: «Se non l'avessimo, potremmo scrivere noi la Bibbia, perché abbiamo lo stesso Spirito» (Gregorio Magno, sottolineato da Benedetto Calati).
La tradizione è preziosa, ma non è fissa, non è una statua morta, come pensano i conservatori-ripetitori, che si oppongono a papa Francesco e al Concilio. Disse papa Giovanni all'apertura del Concilio: «Una è la sostanza dell'antica dottrina della fede, altra è la formulazione del linguaggio con cui viene trasmessa» nelle diverse epoche e culture. «La Scrittura cresce con chi la legge», cioè dice cose nuove, cambia perché è viva. Ciò che è morto non cambia mai.
Avvento vuol dire: tutto comincia ora, continuamente è un inizio. Vivere è vita più vita. Vivere è nascere sempre, anche con fatica, sbagli, cadute e riprese, e scoperte.
Avvento vuol dire: Dio viene. Ci dà sempre nuova vita.
Più cresce la vita, più è vinta la morte. Gesù risorge perché è molto vivo, infinitamente vivo. Ucciso davvero, ma la morte non poteva trattenere una vita così viva. Questo è dato anche a noi. La vita viene, non si perde, perché Dio viene.

Noi siamo di sinistra

Noi siamo di sinistra. Che non è affatto essere neo-stalinisti. Tutto il contrario. Lo stalinismo non era di sinistra, perché imponeva una terribile diseguaglianza fra la nomenklatura e il popolo, e dava un pane duro facendolo pagare al prezzo inaccettabile della libertà.
L'irrinunciabile triade della modernità – libertè, égalité, fraternité – non può essere mutilata di nessuna delle tre colonne-obiettivi-valori.
Sono tre nomi di verità antiche come l'umanità, alte come lo spirito, nuove come l'avvenire.
La libertà e l'eguaglianza si sono comportate come sorelle nemiche: l'una toglie all'altra. Ma se diventano sagge, imparando dalla fraternità, vedono che si è liberi solo se si è uguali in dignità e valore, e mezzi per vivere; e si diventa uguali se si è liberi dall'egoismo insano che ruba agli altri, e se gli altri sono liberi come noi.
C'è una verità nel mito del monogenismo in Adamo: siamo tutti dello stesso ceppo, e nessuno può dire all'altro: mio padre è più grande del tuo.
Nazionalismi e razzismi sono nanismo politico: il problema degli uni è il problema di tutti.
La sorte umana è ormai unica. La cosmpolitica si articola in buon vicinato, e il vicinato è intelligente se opera nella causa comune.
La «fraternité sans terreur», indicata da Sartre, si incontra con la nonviolenza attiva praticata e insegnata da Gandhi.
La politica diventa arte della convivenza umanizzata quando ha il coraggio di emanciparsi dal potere come dominio, dalla violenza e dai suoi strumenti: la menzogna per ingannare, le armi per terrorizzare.
L'economia si umanizza quando non ingrassa il capitale che divora le vite, ma quando il lavoro e l'ideazione nutrono ogni vita e hanno cura della terra che ci dà vita.
La cultura e le religioni animano la convivenza con la visione e il sentimento della profonda comunione umana.
Noi vogliamo vivere la cittadinanza locale e cosmpolitica, facendo le nostre scelte più lontano possibile da nazionalismi, xenofobia, razzismo, e poteri concentrati, non distribuiti; e vogliamo sostenere il più possibile politiche costruttive di libertà, eguaglianza, fraternità.
Noi siamo di sinistra.

mercoledì 27 novembre 2019

La festa della sorpresa
Enrico Peyretti – 450° articolo pubblicato su Rocca (n. 21, 1 novembre 2019), Assisi (www.rocca.cittadella.org)
Noi diciamo “compleanno”, cioè: «hai completato un altro anno; ce l'hai fatta; avanti!». E insieme ai complimenti, ti auguriamo di vivere ancora, e anche meglio: «Ad multos annos!».
Tedeschi e inglesi dicono “giorno della nascita”, cioè natale. Quella tua data è il tuo natale. È festa perché sei nato. Non c'eri, eri niente, e poi sei nato. Lo straordinario non è che sei vivo, pur invecchiando. Lo straordinario è che sei nato, comparso dal nulla. Biologicamente lo sappiamo: i gameti dei tuoi genitori. Loro potevano desiderare un figlio, una figlia, ma di te persona unica, originale, nessuno poteva sapere nulla. Nessuno è uguale a te, né prima, né dopo. Per questo ti facciamo regali: è la festa di una sorpresa.
L'origine è novità, è mistero. Non ti appartiene. Tutto il seguito, fino ad oggi, sei tu. Ma la tua origine non sei tu. Tu sei e resti mistero, che non si può dire. Il fenomeno è afferrabile, l'origine no.
Noi non possiamo risalire alla nostra nascita, all'origine, o (se volete) all'Origine. L'origine ci è data. Noi siamo dati: dati a noi stessi, e all'esistenza. Siamo creati, dice la tradizione, quindi contingenti, per nulla necessari. Poi, siamo novità unica, preziosa, inviolabile. Siamo anche creatori, aggiungiamo realtà, cambiamo le cose, e noi stessi. Possiamo fare mille cose, eccetto la nostra origine. Appare quando appariamo noi, ma non possiamo risalire a toccarla, a prenderla, a definirla.
Raimon Panikkar dice che abbiamo tutti una fede costitutiva, apertura esistenziale, cicatrice permanente, come l'ombelico nel corpo, la firma della mamma. Se respiriamo e viviamo è per fede in quel fatto unico, primo: il nostro essere posti, l'essere nati, è un valore. Qualunque cosa facciamo, noi poggiamo su quella base, ci fidiamo di essa.
Solo in una vita così disgraziata da maledirla (come Giobbe: «Maledetta la notte che ha detto: è stato concepito un uomo!»), solo allora (forse) non abbiamo fede. Ma se nel prossimo minuto continui a respirare, tu hai fede nella vita, nelle possibilità di quell'evento originario fuori dal nulla. Se lotti per emergere dalla malasorte, per un po' di felicità, è perché credi nella tua origine. La puoi chiamare in tanti modi: Dio, la natura, il caso, l'evoluzione, l'ātman, il brahman, il vangelo, come pensi tu, con il linguaggio che hai trovato. In tante lingue e visioni dici quella radicale gratitudine e sorpresa che ti costituisce nella dignità, nel diritto, nell'impresa di vivere. La scienza che vede e tocca, parla del seguito, ma l'inizio è mistero, è quel silenzio che precede la parola, l'invisibile terreno da cui nasce il tentativo di dire ciò che non si può né si sa dire. Abbiamo e non abbiamo la nostra origine. Le crediamo.
Questa fede coincide con la vita, prima di essere detta con una parola, una immagine, una credenza, una storia, un simbolo, ed è fede universale. Lasciamo che quella origine mai vista sia detta e pensata in tanti modi: le vie per guardare lontano, all'ultimo - o al primo - orizzonte, sono tante, e tutte mormorano un tentativo, e nessuna lo afferra, nessuna lo de-finisce. Vie gloriose delle sapienze umane, tutte vie balbettanti, eppure luci sul cammino.
Festeggiamo il tuo compleanno, il tuo natale, la tua origine, che di nuovo ci sorprende, anche se sei già carico di anni. E non allontaniamoci, non allontanarti tu dalla tua nascita. Cammina oltre, dovunque puoi, ma non allontanarti da là. Diventa sempre bambino. Tu, come tutti noi, sei quell'origine, che però non puoi afferrare e stringere. Perciò la festeggiamo. Siamo tutti ricchi e poveri di quella scintilla, ognuna unica e nuova. Tu, io, tutti siamo figli, una fraternità di generati. Stiamo cercando chi siamo, anche dopo tanti compleanni. Se siamo fatti di origine, di inizio, di aggiunta, di inedito, e se abbiamo proseguito ad aggiungere, ad essere vivi, se è davvero così, che cosa ancora si compirà fino in fondo a questa sorpresa che è la vita?