mercoledì 27 novembre 2019

La festa della sorpresa
Enrico Peyretti – 450° articolo pubblicato su Rocca (n. 21, 1 novembre 2019), Assisi (www.rocca.cittadella.org)
Noi diciamo “compleanno”, cioè: «hai completato un altro anno; ce l'hai fatta; avanti!». E insieme ai complimenti, ti auguriamo di vivere ancora, e anche meglio: «Ad multos annos!».
Tedeschi e inglesi dicono “giorno della nascita”, cioè natale. Quella tua data è il tuo natale. È festa perché sei nato. Non c'eri, eri niente, e poi sei nato. Lo straordinario non è che sei vivo, pur invecchiando. Lo straordinario è che sei nato, comparso dal nulla. Biologicamente lo sappiamo: i gameti dei tuoi genitori. Loro potevano desiderare un figlio, una figlia, ma di te persona unica, originale, nessuno poteva sapere nulla. Nessuno è uguale a te, né prima, né dopo. Per questo ti facciamo regali: è la festa di una sorpresa.
L'origine è novità, è mistero. Non ti appartiene. Tutto il seguito, fino ad oggi, sei tu. Ma la tua origine non sei tu. Tu sei e resti mistero, che non si può dire. Il fenomeno è afferrabile, l'origine no.
Noi non possiamo risalire alla nostra nascita, all'origine, o (se volete) all'Origine. L'origine ci è data. Noi siamo dati: dati a noi stessi, e all'esistenza. Siamo creati, dice la tradizione, quindi contingenti, per nulla necessari. Poi, siamo novità unica, preziosa, inviolabile. Siamo anche creatori, aggiungiamo realtà, cambiamo le cose, e noi stessi. Possiamo fare mille cose, eccetto la nostra origine. Appare quando appariamo noi, ma non possiamo risalire a toccarla, a prenderla, a definirla.
Raimon Panikkar dice che abbiamo tutti una fede costitutiva, apertura esistenziale, cicatrice permanente, come l'ombelico nel corpo, la firma della mamma. Se respiriamo e viviamo è per fede in quel fatto unico, primo: il nostro essere posti, l'essere nati, è un valore. Qualunque cosa facciamo, noi poggiamo su quella base, ci fidiamo di essa.
Solo in una vita così disgraziata da maledirla (come Giobbe: «Maledetta la notte che ha detto: è stato concepito un uomo!»), solo allora (forse) non abbiamo fede. Ma se nel prossimo minuto continui a respirare, tu hai fede nella vita, nelle possibilità di quell'evento originario fuori dal nulla. Se lotti per emergere dalla malasorte, per un po' di felicità, è perché credi nella tua origine. La puoi chiamare in tanti modi: Dio, la natura, il caso, l'evoluzione, l'ātman, il brahman, il vangelo, come pensi tu, con il linguaggio che hai trovato. In tante lingue e visioni dici quella radicale gratitudine e sorpresa che ti costituisce nella dignità, nel diritto, nell'impresa di vivere. La scienza che vede e tocca, parla del seguito, ma l'inizio è mistero, è quel silenzio che precede la parola, l'invisibile terreno da cui nasce il tentativo di dire ciò che non si può né si sa dire. Abbiamo e non abbiamo la nostra origine. Le crediamo.
Questa fede coincide con la vita, prima di essere detta con una parola, una immagine, una credenza, una storia, un simbolo, ed è fede universale. Lasciamo che quella origine mai vista sia detta e pensata in tanti modi: le vie per guardare lontano, all'ultimo - o al primo - orizzonte, sono tante, e tutte mormorano un tentativo, e nessuna lo afferra, nessuna lo de-finisce. Vie gloriose delle sapienze umane, tutte vie balbettanti, eppure luci sul cammino.
Festeggiamo il tuo compleanno, il tuo natale, la tua origine, che di nuovo ci sorprende, anche se sei già carico di anni. E non allontaniamoci, non allontanarti tu dalla tua nascita. Cammina oltre, dovunque puoi, ma non allontanarti da là. Diventa sempre bambino. Tu, come tutti noi, sei quell'origine, che però non puoi afferrare e stringere. Perciò la festeggiamo. Siamo tutti ricchi e poveri di quella scintilla, ognuna unica e nuova. Tu, io, tutti siamo figli, una fraternità di generati. Stiamo cercando chi siamo, anche dopo tanti compleanni. Se siamo fatti di origine, di inizio, di aggiunta, di inedito, e se abbiamo proseguito ad aggiungere, ad essere vivi, se è davvero così, che cosa ancora si compirà fino in fondo a questa sorpresa che è la vita?

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