domenica 11 febbraio 2018

Gene Sharp: Il controllo nonviolento del potere
(da "Rocca", 1 agosto 1987. rocca@cittadella.org)


Gene Sharp e' ritenuto uno dei massimi ricercatori e studiosi nel campo dell'azione nonviolenta. Nato nell'Ohio (Usa) nel 1928, e' direttore del Program of Nonviolent Sanctions del "Center for International Affairs" della Harward University e sta conducendo con i suoi allievi e collaboratori la ricerca piu' vasta mai intrapresa sulle alternative nonviolente.
Alcune opere di Gene Sharp sono state pubblicate in prima traduzione italiana dalle Edizioni Gruppo Abele di Torino (corso Trapani, 91/b, 10141 Torino).
La trilogia Politica dell'azione nonviolenta rappresenta un classico fra gli studi sulla nonviolenza ed ha fatto definire l'autore "il Machiavelli della nonviolenza", perche' egli tende a mostrarne l'efficacia pratica prima del valore morale. Cio' naturalmente fa discutere nell'ambito della cultura nonviolenta.
Nel primo volume, Potere e lotta (pp. 164), Sharp analizza il potere politico in tutte le sue forme e dimostra che esso consiste in definitiva nel consenso popolare. Egli puo' cosi' tracciare una teoria per un controllo nonviolento del potere politico.
Il secondo volume, Le tecniche (pp. 344) illustra 198 diverse tecniche atte alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, ciascuna delle quali e' tratta da numerosi casi storici di tutti i tempi e luoghi della terra. Il volume viene cosi' ad essere anche una storia della nonviolenza, seppure non ordinata cronologicamente, finora assente dalla produzione storiografica.
L'ultimo volume della trilogia, Le dinamiche, uscira' in edizione italiana, presso lo stesso editore, nell'autunno dell'87. Esso propone la riflessione sulle dinamiche che si instaurano nei conflitti in cui almeno una delle parti ricorre a metodi nonviolenti.
Le Edizioni Gruppo Abele prevedono anche la pubblicazione di un'altra opera di Sharp, Making Europe Inconquerable (Rendere l'Europa inconquistabile), un testo di strategia militare rivolto sia all'area nonviolenta sia all'ambiente dei militari. Sharp vi sostiene che, attraverso le tecniche di difesa popolare nonviolenta applicate su vasta scala e' possibile ed economicamente vantaggioso raggiungere un alto grado di sicurezza e scardinare l'equilibrio fondato sui blocchi contrapposti delle due superpotenze.
Gene Sharp e' stato recentemente in Italia per seminari e dibattiti. Uno di questi si e' svolto a Torino presso il Centro Studi Piero Gobetti, nell'ambito di un seminario su etica e politica che Norberto Bobbio e gli studiosi suoi allievi conducono da alcuni anni. Di questo dibattito do' un resoconto attraverso gli appunti da me raccolti, non rivisti dall'autore, sia durante la sua esposizione, sia durante la discussione seguita.
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La nonviolenza puo' vincere
Nei conflitti piu' acuti, sui cardini della societa', occorrono misure eccezionali. Per lo piu' si ritiene che la violenza sia la forza piu' decisiva. Ma sorgono problemi sulla sua scelta e sul suo uso, problemi sia pratici che etici. Chi usa la violenza puo' essere sconfitto, oppure puo' vincere, ma con esiti molto diversi.
Non e' vero che la violenza sia la vera fonte del potere politico. Esso deriva da altre fonti: dalla credenza nella sua legittimita', dal numero di persone che obbediscono, dal controllo economico, ecc.
Proprio Hobbes, assolutista, sostiene questa teoria del potere: egli pensava che se il potere politico non fosse accettato e obbedito verrebbe distrutto, percio' asseriva necessario obbedire a tutti i governi, compresa la dittatura. Ma se i governi dipendono dalla societa' governata, allora e' possibile togliere un potere oppressivo. C'e' una storia di lotte senza violenza, arrivate ad abbattere governi: Iran '79, Filippine '86, per esempio. Queste lotte hanno escluso la violenza non per principi pacifisti, ma per esperienze che facevano sperare un'efficacia maggiore dei mezzi nonviolenti. Non conosciamo come dovremmo questo tipo di lotte, finite con sconfitte, vittorie parziali, vittorie piene. Anche contro i nazisti, si sono usate queste lotte. Sono state sempre improvvisate, senza preparazione strategica ne' tattica, senza addestramento della popolazione, nelle circostanze piu' sfavorevoli. Ciononostante, hanno portato grandi contributi alla storia dell'umanita'. Queste esperienze possono essere utili per risolvere conflitti acuti. Ma occorrono ricerche approfondite per conoscerle. Da venti anni sto studiando l'applicazione di queste tecniche alla difesa nazionale: puo' essere respinta un'occupazione, un governo fantoccio, un dominio economico?
L'indottrinamento politico puo' essere sconfitto dalla resistenza ideologica, filosofica, nell'informazione, nelle chiese, nella scuola. Un colpo di stato dittatoriale puo' essere frustrato se nessuno riconosce i nuovi occupanti dei palazzi governativi. L'invasore puo' essere minato nel morale delle truppe (Cecoslovacchia '68), si puo' creargli problemi crescenti. Cio' puo' costituire una deterrenza, non meno efficace di quella nucleare. Costruire questa capacita' di risposta accanto alla difesa tradizionale convincera' a sostituirla completamente, alla fine.
Questa difesa e' una crescita del potere popolare. Non contribuisce a nuove dittature, come invece fanno molti sistemi militari. Si puo' dare il caso di perdite umane, ma sempre meno che con la difesa militare. La resistenza nonviolenta guadagna piu' facilmente simpatie sia all'interno che all'estero.
Questo metodo di lotta non e' nato con Gandhi ne' con Martin Luther King, ma e' cominciato col primo uomo. Pero' la storiografia e' selettiva e non ricorda queste lotte, che invece meritano attenzione e studio, qualunque sia la nostra idea politica, perche' possono utilmente sostituire la violenza e la guerra e dare soluzione ai conflitti politici piu' acuti.
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D - La difesa popolare nonviolenta puo' funzionare in una societa' disgregata come quella italiana?
R - Una tale societa' delega la difesa come delega tutto il potere, e la democrazia vi e' ridotta ad una larva.
La societa' disgregata e' una condizione molto diffusa anche negli Stati Uniti, non solo in Italia! Occorre cercare origini e cause di cio', e le soluzioni. La tecnologia militare non fa che aggravare questa disgregazione. Percio' non credo che il cambiamento delle tecnologie militari debba precedere la difesa nonviolenta. Non ho la soluzione fatta, ma certo dobbiamo contrastare la tendenza a governi sempre piu' accentrati. La gente deve sviluppare le proprie capacita'. La delega produce un crescente senso di impotenza.
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D - Nell'800 i democratici associavano milizia popolare e democrazia. I casi dell'India e dell'Iran dimostrano pero' che le lotte nonviolente approdano anche a forme non democratiche.
R - E' importante il nesso tra democrazia e difesa popolare, in entrambi i sensi. Si', nell'8OO si diceva: un voto a testa, un fucile a testa! Ma anche allora c'erano strategie alternative. Abbiamo pubblicato uno studio (1) sul decennio di resistenza nonviolenta delle colonie inglesi in America, con cui almeno nove colonie su dodici ottennero gia' l'indipendenza di fatto. Cominciata la guerra, il grado di partecipazione crollo'. D'altra parte, Iran e India non sono gli unici casi di resistenza nonviolenta seguita da dittature: c'e' anche l'ottobre '17 in Russia, seguito al febbraio '17. La nonviolenza non risolve per sempre tutti i problemi, p. es. di quali strutture politiche mettere in atto, della condizione che si crea dopo. Si tratta di praticare la lotta nonviolenta non solo nel momento della liberazione o della difesa, ma nella gestione di tutti i problemi sociali.
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D - Voi fate sperimentazione di questi metodi in conflitti reali?
R - Direttamente no. Ma siamo in contatto con i problemi: il primo capitolo del primo volume del mio libro Politica dell'azione nonviolenta, (si tratta del capitolo su La natura e il controllo del potere politico - n.d.r.) e' stato tradotto e circola clandestino in Polonia; alcune parti sono state tradotte e discusse con palestinesi e israeliani; prossimamente lo saranno in Thailandia. Un altro libro su questi temi sta per uscire in Massico.
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D - La nonviolenza come tecnica e' analoga alla democrazia intesa come regola del gioco. Che rapporto c'e' tra democrazia e nonviolenza?
R - Non sono la stessa cosa, ma si sovrappongono. Tra le caratteristiche della democrazia c'e' la soluzione incruenta del conflitto politico, mediante le procedure della democrazia liberale. Ma le strutture democratiche non sono state in grado di risolvere i conflitti estremi, in cui una parte rifiuta il compromesso o cerca addirittura di distruggere la democrazia. In questi casi estremi non c'e' una procedura democratica per risolvere il problema, e lo sbocco e' la tirannia o la guerra civile. Ma la lotta nonviolenta puo' dare una soluzione democratica a questi casi. Percio' essa si situa al limite del meccanismo democratico, a disposizione dei gruppi minoritari. In quanto fanno questa scelta, tali gruppi scartano il terrorismo, e non e' poco.
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D - La nonviolenza e' una tecnica o una scelta morale? Puo' servire anche a forze antidemocratiche, di destra o di sinistra?
R - Ci sono valori che ispirano la nonviolenza. Principi diversi giustificano la nonviolenza: in comune hanno il rigetto della violenza. Nel movimento operaio, e in altri casi, lotte nonviolente sono state scelte non per principi morali. La critica sottesa alla domanda mi e' stata rivolta anche negli Stati Uniti: alcune recensioni mi hanno accusato di "avere strappato il cuore alla nonviolenza"! Io credo possibili dei passaggi, e anche rapidi, dai metodi militari a quelli nonviolenti, senza bisogno di attendere che mutino i principi morali. La nonviolenza adottata per ragioni pratiche farebbe scoprire la sua superiorita' morale. La maggior parte della gente ha respinto la nonviolenza, magari ammirandone il valore morale, perche' la riteneva non efficace, non praticabile.
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D - C'e' dell'ambiguita' in quest'ultima risposta. Se il suo interesse si e' ristretto alla nonviolenza come tecnica, allora perche' la propone? Se e' solo una tecnica, puo' servire a tutto. Se e' solo piu' efficace, si ricade nella interminabile questione se sia piu' efficace la violenza o la nonviolenza.
R - Non guardo il mondo solo in termini di tecnica. La violenza mi ripugna. Perche'? Non lo so. Bisognerebbe sapere perche' le cose ci piacciono o no. Le tecniche nonviolente non sono panacee ma sono rilevanti di fronte alla violenza. Vista la sua efficacia, si apprezzera' il valore morale della nonviolenza. Non necessariamente ogni atto nonviolento e' morale. I mezzi nonviolenti non devono servire a qualunque scopo, anche se sono stati usati per fini immorali, p. es. il boicottaggio a danno degli ebrei negli anni venti. Naturalmente, sarebbe stato meglio che i nazisti avessero usato solo il boicottaggio, invece che le camere a gas. Adottata dai nazisti la violenza, dalla parte opposta si rispose allo stesso modo. Ci sono dei nessi tra la scelta nonviolenta e la democrazia. Sperimentata l'efficacia concreta della nonviolenza, otterremo una serie di altre conseguenze. Ne abbiamo gia' vista una, a livello etico: i vescovi cattolici degli Stati Uniti, nella loro lettera sulla pace (1983), affermano che "la resistenza nonviolenta offre un terreno comune di incontro tra quelle persone che scelgono l'opzione del pacifismo cristiano fino al punto di accettare di morire piuttosto che uccidere, e quelle che scelgono l'opzione della forza capace di uccidere ammessa dalla teologia della guerra giusta". Percio' la nonviolenza puo' essere la terza via tra il pacifismo (nel senso di: non difendersi) e la difesa violenta.
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D - Il concetto di forza e' diverso da quello di violenza?
R - Forza e' intesa in genere, negli Stati Uniti, come violenza legittima. Io uso il termine in un altro senso: come pressione forte, azione potente. Questa forza puo' essere violenta o nonviolenta.
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D - E' stata studiata la resistenza nonviolenta all'oppressione non apertamente violenta?
R - La maggior parte dei metodi di resistenza nonviolenta sono stati sperimentati proprio contro questo tipo di oppressione. La loro particolare efficacia sta in cio': che danno alla popolazione consapevolezza dell'oppressione sorda, sistematica, che la maggioranza altrimenti subisce passivamente.
(a cura di Enrico Peyretti)
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Note
1. W.H. Conser, R.M. McCarthy, D.J. Toscano, G. Sharp, Resistance, Politics, and the American Struggle for Indipendence, 1765-1775. Lynne Rienner Publishers, Boulder 1986, 580 pages, dollari 38,50.


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