martedì 28 maggio 2019

Bori commenta Simone Weil "Ogni religione è l'unica vera"

Bori commenta Simone Weil: «Ogni religione è l'unica vera»
di Enrico Peyretti

Inviato 25 maggio 2019 a <daniela.deleo@unisalento.it> direttrice della rivista del Salento “Rivista scientifica Segni e Comprensione”.
Pubblicato su il foglio n. 466, novembre 2019 (www.ilfoglio.info)

«Ogni religione è l'unica vera»: su questa formula provocatoria di Simone Weil, scrisse un saggio importante Pier Cesare Bori (1937-2012), l' intraprendente e acuto studioso dell'universalismo religioso e culturale. Lo pubblicò in Filosofia e teologia, 8 (1994), pp. 393-403, e in versione ridotta in
Testimonianze, 12 (1994), pp. 45-52. Ne parlò in una conferenza a Torino, nel gennaio di quell'anno, della quale resi conto in Rocca, 15 febbraio 1994. Il saggio di Bori esce ora nuovamente, insieme allo scritto di Simone Weil, del 1942, Lettera a un religioso (Castelvecchi, 2019, purtroppo in una edizione spoglia, priva di ogni presentazione sulla filosofa francese e su Bori, e con alcuni errori di stampa, alle pp. 47, 57, 82, 84, 87, 90).
La formula è scelta da Bori come insegna di quell'universalismo che, per Simone Weil, è un imperativo del tempo presente. Per Bori, la Lettera a un religioso permette anche di vedere quale sia il cristianesimo della Weil.
«Ogni religione è l'unica vera» si legge in un Quaderno del 1941, in polemica contro l'«ortodossia totalitaria della Chiesa», che è «mancanza di fede», scrive la Weil. «Ogni religione è l'unica vera, nel senso che, nel momento in cui la si pensa, è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient'altro». Allo stesso modo, ogni paesaggio, ogni poesia, ogni bellezza è l'unica, è tutta la bellezza, se vi poniamo l'attenzione piena. Al contrario, «la “sintesi“ delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore», dice con riferimento a quegli esperimenti, che vanno dalla gnosi antica, al Rinascimento, fino a Tolstoj. Nell'attenzione l'oggetto diventa unico. Una cosa perfettamente bella, è l'unica bellezza. Ogni oggetto è unico.
Oggi l'universalità deve essere esplicita, nel linguaggio e nella maniera di essere (è questa la vocazione culturale di Bori, che ne trova belle radici anche nella Weil). Il comandamento dell'amore è anonimo, perciò universale. L'universalismo non è una superlingua. Cambiare religione è come cambiare lingua per uno scrittore, e può essere funesto.
Viene a proposito un confronto con Gandhi, che, contrario ad ogni proselitismo, ammetteva il cambiamento di religione come approdo spirituale autonomo, ma esortava ciascuno ad approfondire la propria fede per giungere alla «vera Religione», a quel centro comune di tutte le fedi, che sono tutte vere perché hanno ognuna un punto di vista sulla verità. Del cristianesimo e dell’islam Gandhi diceva: «Considero tutt’e due le religioni ugualmente vere quanto la mia. Ma la mia mi soddisfa pienamente (...). La mia costante preghiera è pertanto che il cristiano e il musulmano diventino un migliore cristiano e un migliore musulmano» (Young India, 4 settembre 1924).
Per la Weil, la religione cattolica contiene esplicitamente verità che altre religioni contengono implicitamente, e queste contengono esplicitamente verità che nel cristianesimo sono soltanto implicite. Il cristiano meglio istruito può imparare molto sulle cose divine anche da altre tradizioni religiose, sebbene la luce interiore possa fargli percepire tutto attraverso la propria tradizione. E tuttavia, se le altre religioni sparissero, la perdita sarebbe irreparabile. «I missionari ne hanno già fatte sparire troppe», scrive la Weil al religioso cattolico al quale confida le ragioni per cui quando legge il vangelo sente che quella fede è sua, ma quando legge il Catechismo del Concilio di Trento le sembra di non avere niente in comune. Perciò non volle il battesimo, pur sentendosi sulla soglia della chiesa cattolica.
Simone Weil cercava di aprire il cristianesimo dall'interno attraverso la lettura simultanea di fonti cristiane e non cristiane. L'indologo Max Müller (che forse influì su di lei) osservava che per ognuno la religione è come la lingua materna, né eguale né rivale di altre lingue, ma da vedere come parte di un vasto insieme. Per vedere bene il cristianesimo nella storia universale, tra le religioni dell'umanità, bisogna paragonarlo non solo con il giudaismo ma con le aspirazioni religiose del mondo intero.
La Weil vede una identità profonda, essenziale, tra le religioni, al di sotto della differenza linguistica, come vede Gandhi. Essa si riferisce a Giovanni 1,9: «... la luce che viene con ogni uomo». Lei intende con piuttosto che in. Questo versetto è fondamentale nella spiritualità dei Quaccheri, a cui Pier Cesare Bori aderì nel 1993, pur senza rinnegare la chiesa cattolica di origine.
Quel versetto evangelico contraddice, per Simone Weil, la teoria cattolica del battesimo. Il Verbo abita in segreto in ogni persona, battezzata o no. È luce, da fuori, che disperde la “tenebra”; ed è seme, innato, che è nesso di continuità tra ordine naturale-creaturale e ordine della grazia, tra Vecchio e Nuovo Testamento. Il cristianesimo può impregnare tutto senza essere totalitario solo se riconosce che la luce naturale è la luce soprannaturale discesa nella natura; che il profano è ispirato dal sacro; che l'arte, la bellezza, discende ed è mossa dalla fede. L'illuminazione è necessaria e sufficiente, anche se non è necessaria l'identificazione della luce del Verbo nel Gesù storico, attraverso la Chiesa. Si va al Padre solo mediante il Verbo, ma non è necessario dare un nome al Verbo, forse neppure a Dio. Per la salvezza è necessario e sufficiente il Logos, lo Spirito, la Luce, che nasce con ogni uomo. Riconoscere il Cristo in Gesù è frutto del Logos stesso, ma non è necessario che accada per ognuno, e comunque può accadere anche fuori e prima della Chiesa e del cristianesimo.
Troviamo una grande professione di fede di Simone Weil: «C'è una realtà fuori del mondo, cioè fuori dello spazio e del tempo, fuori da ogni portata delle facoltà umane. A questa realtà corrisponde al centro del cuore dell'uomo questa esigenza di un bene assoluto che vi abita sempre e che non trova alcun oggetto in questo mondo». È la luce del Prologo di Giovanni, luce del Bene (come quella che attira fuori dalla caverna di Platone). La conoscenza essenziale, la verità essenziale, riguardo a Dio, è che Dio è il Bene. Tutto il resto è secondario . «Dio solo è buono» (Marco 10,18). Il Bene è al di sopra dell'Essere.
Questo pensiero è talmente contrario alla natura che può sorgere solo in un'anima divorata dal fuoco dello Spirito Santo (idea già trovata nei pitagorici, prima di Platone, che non lo apprende da Mosè). Questa categoria del Bene permette alla Weil di criticare la storia di Israele e la storia cristiana, e lo stesso testo biblico, dove c'è la forza, l'idolatria sociale-nazionale di Israele. In Agostino l'idea del bene dipende da un regime teologico ed ecclesiologico, in Simone Weil invece giudica la teologia, Israele e la Chiesa.
Il suo è un cristianesimo critico. La pietra di paragone dell'armonia tra individui e collettività, tra persone e chiesa, è la situazione dell'intelligenza: «La funzione propria dell'intelligenza esige una libertà totale, che implica il diritto di negare tutto, e l'assenza di ogni forma di predominio». Perciò è necessario un cristianesimo in cui la verità e la veracità non siano subordinate all'adesione religiosa, ma siano esse il principio normativo. Non c'è il cristiano e gli altri, ma solo la verità e l'errore.
Su cristianesimo e veracità, Bori richiama la famosa opposizione tra Dostoevskij (preferire Cristo, più della stessa verità) e Tolstoj, che, nella Risposta al Sinodo, scrive: «Chi comincia con l'amare il cristianesimo più della verità amerà poi la sua setta o chiesa più del cristianesimo e finirà per amare se stesso più di ogni altra cosa». Simone Weil denuncia un «totalitarismo della fede» per cui «l'intelligenza deve essere imbavagliata». I mistici accettano l'insegnamento della Chiesa non come verità, ma come un velo dietro cui si trova la verità. Cioè intendono i dogmi non come teoremi ma come metafore. Ci sarebbe una religione dei mistici e l'altra religione. Le tendenze mistiche, razionalistiche, critiche, attorno al cristianesimo, coprono un'area molto vasta (tipico Spinoza). Bori osserva: «Forse è qui la casa spirituale di Simone Weil, e forse qui occorrerebbe ritornare ad imparare».
Quale universalismo dovrà impregnare il nostro linguaggio e il nostro modo d'essere? Non un universalismo di una sola verità, non di chi non ha radici e passione di verità; ma quello di chi aderisce alla propria tradizione, alla luce che ne trae, mentre riconosce la presenza della stessa luce in altre tradizioni.
Conclude Bori dicendo che Simone Weil si allinea ad altri mistici che hanno trasceso dall'interno il proprio limite culturale. Per esempio Al-Hallaj: «Le religioni sono molti rami di un'unica fonte. Non pretendere dunque dall'uomo che ne professi una, ché così si allontanerebbe dalla fonte sicura». E l'induista Kabir Das : i nomi del Signore sono tutti verità; Egli attira tutti i diversamente devoti, che non osano avventurarsi fuori dal tempio e dalla moschea; Egli non dimora nel tempio né nella moschea: «Egli è presente in ogni cosa e in essi stessi».
Enrico Peyretti

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