sabato 25 settembre 2021

 

21 09 24 Per la cura dei rapporti umani: non c'è offesa

Lo dico a me stesso, per educarmi, e lo dico a chi vuol sentire: non c'è offesa, se tu non vuoi. Se qualcuno ti vuole offendere, ferirti, toglierti una parte di te, non ci riesce, se tu non vuoi. Tu sei invulnerabile, come Achille, e non lo sapevi, perciò avevi paura delle offese. Zanardi, il coraggioso, perdute la gambe, disse: «Si fa con quel che si ha». Se anche ti tolgono qualcosa, non ti tolgono nulla di vivo.

L'offesa è un'ombra, non esiste. Nessuno ti toglie nulla di ciò che sei; ti può togliere la buona fama presso gli altri, ma tu sta in pace con la tua anima!

Tolstoj cita Epitteto, il filosofo stoico, ex-schiavo, che dice: l'anima è una cittadella fortificata, nessuno può veramente offenderla. «Solo l'anima umana è sicura più di qualsiasi inaccessibile fortezza. Perché ci sforziamo continuamente di indebolire quell'unico baluardo? Perché ci occupiamo di cose che non ci possono dare la gioia dell'anima e non ci preoccupiamo di quell'unica cosa che ci può dare la quiete dell'anima? Tutti dimentichiamo che se la nostra coscienza è pura, nessuno ci può offendere e che tutti i conflitti e le inimicizie nascono solo dalla nostra stoltezza e dal nostro desiderio di possedere delle inezie esteriori».

Tanti rapporti umani si guastano o si rompono per la troppa sensibiltà alle offese, per una pelle troppo sottile. È vero che qualcuno a volte vuole offendere, oppure ferisce senza volerlo. Il più delle volte si tratta di difetti, malintesi, equivoci, che sembrano offese e sono errori di espressione, e di comprensione. Ma purtroppo, a volte, c'è proprio la volontà di offendere. Comunque, non c'è offesa se non ti lasci ferire. La tua dignità non è mai offesa: o la perdiamo noi stessi, degradandola, oppure nessuno può colpirla, neppure la calunnia.

Se credi che l'offesa ti distrugga, poi ti trovi spinto alla vendetta, in parole o azioni, o sentimenti acidi. Allora sì che sei rovinato, sei dentro l'ingranaggio, rischi di rispondere al male col male. È ben comprensibile che tu soffra, ma il valore della persona si vede a questo punto. Soffrire non è una perdita.

L'offesa non esiste, se non ti sottometti, se trovi la tua vera forza. Accetta le critiche, sono utili anche se sono severe, ma la critica non è un'offesa (come l'offesa non è una critica, non aiuta).

La tua dignità è una corazza. Non perché tu ti creda superiore, ma perché la dignità è in tutti gli umani superiore ad ogni comportamento, anche al peccato. Non perde la dignità neppure il delinquente, che infatti non va "condannato", non va "messo a marcire" in galera, ma va aiutato a ritrovare la dignità che ha contraddetto: art. 27 Costituzione. Il giudice giusto non condanna, ma corregge e protegge. E questo vale nei rapporti sociali come nei rapporti personali diretti.

Le offese sono la vergogna dell'offensore, anche se lui non lo sa. Chi viene offeso non si deve vergognare. Se si sente menomato, o distrutto, gli nascono sentimenti troppo amari, un dolore eccessivo, immeritato, ma è veramente danneggiato solo se perde la serenità e la bontà del suo comportamento. Soffrire non è perdere.

Se l'offeso cade nell'imitare l'offensore, allora sì che l'offesa davvero vince. Ma non è destino necessario: dall'offesa c'è la grande difesa, che è la coscienza serena della propria dignità.

Dignità non è certo sentirsi innocente, impeccabile, infallibile: siamo tutti pecccatori, eppure meritiamo pieno rispetto, sia noi, sia gli altri che ci urtano. Come dice papa Francesco: «Sono un peccatore che cerca di fare del bene». Nessuno è superiore o inferiore agli altri in dignità, se non si abbassa da solo. La dignità umana, che è l'essenza di ogni persona, non è mai offesa: la perdiamo noi stessi, se non la custodiamo, ma poi possiamo ritrovarla, anche con l'aiuto degli altri.

Nessuno ti toglie nulla di ciò che sei, se cerchi di avere la "forza della verità": questa non è "avere ragione" più degli altri, non è affatto "vincere", ma è la propria ricerca appassionata, forte, coraggiosa, di stare e ritornare sempre nell'autenticità umana, nella verità della vita. Abbiamo bisogno degli altri, ma dipendiamo soltanto dalla nostra coscienza seria, sincera, cercatrice appassionata di verità, pronta a correggersi, a chiedere perdono, ad accettare critiche e aiuti, a non farsi abbattere da colpi cattivi. Si tratta di vivere aderendo sempre di più alla verità umana, in ricerca, senza alcuna presunzione, in libertà spirituale. Così, nessuno ti può offendere.

E tu non condannare chi ti offende: è una sua povertà, una debolezza, abbine compassione, e aiutalo, possibilmente. Soffri, ma non condannare. Soffrire per la verità, con coscienza, è una grande forza: questo è l'insegnamento essenziale di Gandhi, che lo visse e lo trasmise.

Dio non condanna: è questa la rivelazione di Gesù, il suo vangelo, che supera le religioni dalla morale dura e punitiva, e distrugge l'inferno. Dio è nei cuori, non è nelle gerarchie sociali, neppure quelle sacre: semmai è coi deboli, con gli ultimi, non coi vincitori. «La Giustizia fugge dal campo dei vincitori», dice Simone Weil.

Neppure Hitler è da "dannare", perché è il più miserabile degli umani: andava tolto dal piedistallo del suo potere violento, ma senza imitarlo. Alcuni alti ufficiali del complotto che fallì, si rifiutavano di ucciderlo, come era possibile, «per non essere come lui». Avevano capito bene.

Le persone deboli, che si abbattono se ricevono uno sgarbo, una scorrettezza, un insulto, vanno aiutate a rafforzarsi nella loro autocoscienza: come i gatti, che cadono sempre in piedi, anche se cadono dal tetto, e non si rompono la testa. Non farti atterrare, se sei nello spirito giusto: questa non è arroganza, ma è resistenza all'offesa, capacità di sentirla come correzione e non come condanna. È ricerca di intendersi. Non è facile, per niente, ma è da imparare.

Non perdere la pace e la gioia di vivere solo perché qualcuno non è gentile, giusto e rispettoso come dovrebbe essere. Il guaio è suo, non tuo.

A volte siamo deboli, stanchi, esausti, fragili e succede che anche un'ombra di passaggio ci offenda, ci ferisca. Non spaventiamoci. Rimettiamo ogni cosa nella sua giusta misura: apparenza, malinteso. Ma a volte c'è proprio della cattiveria! Certo. L'importante è che non sia cattivo io, e che non mi lasci contagiare. Non c'è bisogno di una virtù eroica, basta un po' di sana furbizia e di arte di vivere.

Lamentati pure, quando ti fanno soffrire: è umano, è molto comprensibile, fa bene. Lamentati con qualche amico che ti comprende, ma dopo un po' basta, passa a discorsi più costruttivi, a pensieri belli: ne abbiamo bisogno perché siamo fatti per il bene e per il bello, e bisogna vivere di questo, anche nel dolore, fino all'ultima agonia: ci servirà saper morire bene, e questo si impara adesso, quando qualcosa ci fa soffrire.

Enrico Peyretti, 24 settembre 2021

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