mercoledì 6 marzo 2024

 24 03 06 Noi e la guerra

Questo foglio modesto e attento ha sempre considerato la guerra, le guerre del nostro mezzo secolo, un crimine politico, non una inevitabile malattia dolorosa; non una stagione rigida della storia, di cui uno storicismo cinico vuol vedere anche l'utilità. La guerra uccide. Questo basta per condannarla. Nella riflessione morale, nell'era atomica, emerge la consapevolezza che non esiste guerra giusta. Questa chiarezza è una vittoria delle coscienze che comprendono. In ambito cristiano l'illuminazione pubblica è cominciata con la Pacem in terris di papa Giovanni 1963: «Bellum alienum a ratione», la guerra è fuor di ragione. Nelle guerre ora in corso la predicazione cristiana, insieme a tanta riflessione laica, vede sempre meglio che rispondere alla guerra con la guerra, conferma estende e aggrava la guerra, malattia mortale. Il mito della vittoria bellica è sempre meno glorioso, sempre più illusorio. Meno male che nel mare di sangue della seconda guerra mondiale è affondato Hitler, e non i paesi aggrediti, ma quel mare di sangue non è venuto forse da altre guerre nazionalistiche, punitive? E la vittoria del 1945 non fu anche, come ogni vittoria, gravida di nuova più terribile guerra? L'opposizione interna al nazismo doveva essere aiutata dalle democrazie.

La guerra non è da respingere coi suoi mezzi, ma da evitare e abolire all'origine, che è la mentalità della politica come dominio, competizione, armamento, massificazione, invece che vita insieme tra differenti liberi. Lo vide chiaro Kant nel 1795, preceduto dalle sapienze antiche, e noi lo vediamo oggi tragicamente più di lui. I popoli umani lo hanno detto nel 1945 e la nostra Costituzione nel 1948: compito della politica e del diritto è «liberare le future generazioni umane dal flagello della guerra».

Cosa pensiamo, ora, davanti ad una guerra di aggressione e ad un'altra di massacro (senza dire tante altre nell'ombra)? Se pensiamo solo a mezzi di guerra, come sta facendo l'Europa dimentica del meglio di sé, precipitiamo in una tragedia che può diventare planetaria, contro la specie umana. Non ci sono formule magiche, ma ci sono direzioni valide o non valide. La direzione umana è la parola invece della bomba. Diffidare dell'aggressore come dell'espansionista è naturale e logico. Ma la trattativa si deve fare sempre, come si deve trattare col pazzo con la bomba in mano che può seppellirti con lui. Cedere qualcosa e deporre le armi è più conveniente della guerra: chiediamolo ai soldati e alle loro famiglie.

Una Costituzione per tutta la terra, rispettata anzitutto dai più forti, e civili, limiterebbe gli stati prepotenti. La relazione umana è di ragione, di parola, di mediazione, non di forza: capirlo è bello e civile, realizzarlo è il compito politico. Ma la politica non fa il suo compito quando intende rispondere alla guerra con la guerra. I "realisti" della realtà statica deridono le esperienze storiche di resistenza e di liberazione dei popoli nonviolenti, ma nella loro "realtà" a vista corta si ripete e prospera la guerra che non libera mai davvero nessuno.

Anche qui nel foglio discutiamo con franchezza davanti alle due prospettive attuali per il mondo. Io scommetto con fiducia razionale che la via umana è la riconciliazione delle culture, degli interessi (oggi eminentemente comuni a tutti), il disarmo progressivo, la comunicazione intelligente, la sconfessione popolare della guerra, la difesa della terra, la dignità di tutti. Pochi dominatori mandano i popoli ad uccidere e morire. La democrazia c'è quando i popoli si conoscono, si parlano, si aiutano. Il futuro umano passa da qui.

Enrico Peyretti, 6 marzo 2024


Nessun commento:

Posta un commento