mercoledì 27 dicembre 2017

17 11 04 Elezioni - Il male minore, il "voto utile"

Elezioni
Il male minore, il “voto utile” 
Tempo di elezioni, cioè di eleggere chi vogliamo caricare del difficile compito di legiferare e governare. Se non siamo di quelli del voto di scambio, abbiamo da decidere chi, partiti e persone, merita maggiore fiducia per idee e capacità in vista del bene comune. Difficile decidere. Sarebbe comodo votare per appartenenza: penso così, sono iscritto, ho fiducia, so già per chi votare. Ma quasi metà degli italiani non si fida di nessuno e si astiene. Cioè, col non votare vota per chi vince, gli piaccia o meno. Crede di non pesare e invece pesa molto. Un partito, una lista, prende il 30% del 30% degli elettori, e si vanta di avere vinto col 30%. Gli astenuti gli sono utili per creare l'apparenza della maggioranza. È democrazia questa?
Altri finiscono per scegliere il male minore, ai loro occhi, tra vari tipi di male. Davvero siamo condannati a farci male, ma il meno possibile? Oppure si ragiona sul “voto utile”: mi piacerebbe una lista e un candidato che, lo so già, non vincerà, e allora, per non disperdere il mio voto, pur con dispiacere, voto per il meno peggiore tra gli altri, che ha possibilità di essere eletto. Il voto di “testimonianza” non è utile perché non prende il potere. Ma è proprio vero?
Immaginiamo un paese con un pessimo governo. Per esempio, l'Italia sotto il fascismo. Non si poteva votare, ma con coraggio e cautela si poteva un po' fare opinione. Si sapeva chi non era fascista. In qualche modo, in una simile situazione, è possibile esprimere e rendere presente un'idea politica critica, positiva, e alternativa al regime.
Immagino di essere un cittadino in democrazia che appoggia una proposta politica critica, ma non basta: nelle elezioni l'idea resta del tutto minoritaria, non acquista forza, non va al potere. Allora decido di appoggiare, col mio voto, la componente più moderata del sistema che non mi piace, per evitare il peggio. Nel periodo democristiano era il famoso “turarsi il naso” di molti liberali, per evitare il comunismo.
Nel ventennio fascista, gli antifascisti coraggiosi e attivi, a caro prezzo, non subivano il meno peggio, ma con la propaganda, con la stampa clandestina, con le voci dall'estero, con la cultura, con l'educazione dei giovani a scuola, col rifiuto di giurare perdendo la cattedra, col rischio personale, in tutti i modi possibili, rappresentavano una alternativa democratica: si poteva sapere che non era fascista l'Italia intera. Porre una alternativa, anche se non arriva al potere, è utile per manifestare e denunciare i limiti o il danno del potere vigente, per far conoscere le riforme o i cambiamenti radicali necessari. Da quegli antifascisti perdenti sono maturate e nate Resistenza e Costituzione. Essere pochi non è inutile. Davvero, parlando in generale, la scelta del male minore, e del “voto utile”, è sempre la scelta giusta?
Porre un'alternativa seria è una scelta utile a intaccare l'assolutezza del consenso, entusiasta o rassegnato che sia. Si parla, si dichiara e (dove è possibile) si vota, in una società, non solo per far “vincere” una posizione, ma anche solo per farla vedere e sentire presente, col valore che le riconosciamo. I vincitori di un determinato momento non sono tutta la ragione possibile: c'è sempre altro da pensare e conoscere, per procedere. Anche questo è “utile”, non è “disperso”. La politica è solo vincere ai punti, governare, o non è anche la lunga maturazione di idee e progetti sul governare meglio, più giustamente? Ogni elettore dovrà rispondere a se stesso (ma anche al suo popolo) su queste domande.
Enrico Peyretti (4 novembre 2017)

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