venerdì 29 dicembre 2017

Morire e vivere, e la politica
16 ottobre 2017

Noi siamo attesa, tensione, siamo desiderio e bisogno, siamo evoluzione e trascendenza, necessità di superarci («L'homme dépasse l'homme»), proiezione sempre incompiuta, utero vuoto da colmare di vita, cambiamento continuo di ciò che resta ma non resta, passa e non passa, viene e non viene. Siamo in-quietudine, mai a riposo è il nostro cuore. Noi non siamo una fine, ma siamo per un fine. Siamo sempre all'origine, all'atto di nascere. Siamo una tale volontà di vita che anche morire dovrà essere un nascere. Siamo l'incompiutezza che deve compiersi, altrimenti è morta. O non siamo, ma solo sembriamo, il fenomeno umano, oppure siamo questo germe di infinito nel finito. Si muore solo se si accetta di morire, se si cessa di nascere. Noi siamo così mortali, finiti, e inaccettabilmente finiti, da non poter morire. Siamo così piccoli da essere schiacciati da un vapore nell'aria, e così grandi da contenere il cielo e tutte le stelle. Noi siamo desiderio e passione.
Conviene sapere una cosa e anche l'altra. C'è anche una filosofia del finito, un'antropologia dell'uomo che appare e scompare: sia il singolo, sia forse l'intera specie. L'essere umano riflette, si guarda, è sano se non si accetta com'è: dunque, se sono finito sono infinito, se sono infinito sono finito. Dibattersi e spostarsi è essere uomo, altro prodigio dal prodigio pianta.
L'intelligenza, quando c'è, fa un po' di luce sulla via che stiamo percorrendo, ma non traccia altre vie. L'organo del sentire, del tastare anche nel buio, arriva più in là: ciò che attendiamo, ciò che sentiamo. L'udito del cuore è assai più acuto di quello delle orecchie. La vista del terzo occhio invisibile è assai più lungimirante di quella dei due occhi sulla faccia. Ciò che sappiamo, che abbiamo visto, studiato e imparato, analizzato e interpretato, è assai poco rispetto a ciò che, ignoto, ci attira. Troppa "pre-cisione" scientifica riduce la realtà, la "taglia" in anticipo. Siamo attirati, più che spinti e diretti dalla nostra volontà e scelta, dal nostro sapere. Siamo passione, che è una passività creativa, che ci accresce, ci porta avanti, ci fa patire ciò che non raggiungiamo, per farci andare ad esso. Chiamiamo tutto ciò felicità, e ci diciamo a vicenda, mentendo per paura e rinuncia, che la felicità è irraggiungibile, mentre, dentro di noi, segretamente, sappiamo che non c'è altro da cercare e da raggiungere che la felicità, senza la quale saremmo qui come fantasmi vuoti, non saremmo mai nati, saremmo nulla. Nonostante i delitti umani, siamo in sostanza sete di verità e di bene. Vedete che non cerchiamo altro, anche sbagliando, anche facendoci male?
Provo a pensare che la vita in società – nel rispetto della libera persuasione di ognuno - possiamo e dobbiamo ispirarla a questa che è la grandezza dell'uomo, e anteporla alla presa di potere (il potere, per fare che cosa?). È da buttare via questa idea, niente affatto nuova, soltanto messa oggi da parte? È ben indirizzata, anche nella nostra mente, la politica attuale? No, non ha direzione, non è attratta e orientata da un valore umano. Parla di democrazia e diritti umani, poi brama il potere: forse per realizzarli? No, non è ben diretta, perché il potere spegne l'idea, ottunde l'intelligenza: è una palla di piombo legata alle caviglie del cammino e alle ali della mente. Vogliamo dire, più moderatamente, che la politica non è attratta abbastanza dai valori umani? Diciamo pure così. Fatto sta che ben spesso li offende e ne fa strumento. Vogliamo dire, più decisamente, che la politica, l'arte indispensabile di vivere insieme – altrimenti nessuno vive – non è ancora nata nella storia dell'evoluzione umana? Non è nata perché, concepita nell'utero insano della supremazia degli uni sugli altri, è abortita e marcita. Si è fatta la regola “o si domina, o si è dominati”; ha separato noi-voi, noi-altri, e proprio in ciò ha fatto consistere il concetto di politica; ha posto uno o alcuni nell'indecente funzione di comandare agli altri; ha inventato le armi e la guerra, e se ne è fatta struttura portante, malattia mortale, cancro dorsale. La politica non è mai nata: al suo posto è nato il dominio. Al suo posto, abbiamo la cosa oggi chiamata politica: una contraffazione, un fallimento.
Ma disperare è sbagliato, è consacrazione dell'errore. Detta una cosa, bisogna dirsi anche il contrario. La modernità ha concepito una dignità dell'uomo, tacendo il Dio antico. «Ciò che è dato al cielo è tolto alla terra». I cristiani si sono offesi, hanno gridato alla bestemmia e alla rovina. Poi si sono lentamente ricordati che quel dio che Gesù ha rivelato nel suo modo di vivere, si è nascosto nella terra e nella carne umana, e che, dunque, difendere questa, e venerare questa, è venerare quel Padre. I cristiani stanno facendo pace con un mondo che tace di Dio, o lo eclissa. Vedono che rispettare, nella politica, la uguale dignità di ogni uomo, sarebbe attuare la vita buona sulla terra di tutti. I cristiani, come ogni umanista, esigono una politica dei diritti umani, dunque di giustizia e di pace. Possono concordare nell'agire con chi, senza vedere tracce di infinito nella persona umana, vi vede però una insopprimibile esigenza di rispetto, di inviolabilità, almeno per non infliggerci sofferenza. Venerare la persona perché è il breve volo di un giorno, o perché è l'immagine di una Vita più grande, non cambia nella pratica, si può fare insieme. Soltanto che si sappia e si senta, insieme, che la politica non è esercitare un potere sui popoli, ma servirli sottoponendosi.
La politica reale, oggi, è deforme e offensiva, ma l'uomo è correggibile, sanabile, autoevolubile, incontra luci. Riformarci alla radice è la cosa più pratica. La morale è politica e la politica è morale, chcché ne dicano i mestieranti.
Ne parleremo all'infinito, non per coincidere, ma per capirci meglio, anche con prospettive e accenti un po' differenti. Noi siamo infiniti, come il nostro dis-correre. Ciò che importa è che discorriamo insieme.
e. p.

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