mercoledì 27 dicembre 2017


27 dicembre 2017

    Gli auguri - "io desidero bene per te" - sono una cosa bella, la più bella della vita, in qualunque momento. Perché li facciamo di più nelle feste, gli auguri? Perché si intuisce vagamente, pur nella nostra sordità di vecchi (a tutte le età) rimbambiti dal chiasso, che ogni festa significa condivisione di un successo, una memoria, una speranza felici della vita comune, non solo individuale. Siamo barbari, ma forse non totalmente. Un fondo di sapienza bambina è rimasto nel fondo della nostra pubblica balordaggine. E diventare bambini (non "ritornare") è sapienza evangelica. Quanto a scegliere le feste per il rito (non brutto) degli auguri, chi vorrebbe solo quelle religiose, chi vorrebbe solo quelle civili. Perché vietare una festa? Ognuno la faccia o non la faccia come la sente. Al massimo sentirà malinconia se si apparta da solo. Ma perché arrabbiarsi? Fa male alla salute. Se qualcuno fetseggia una canagliata, come il 28 ottobre '22, si fa riconoscere per quello che è. Anche se fa festa il 4 novembre 1918, una vittoria della strage di stato, madre del fascismo. Io non partecipo, lo lascio solo con le sue stolte strombazzate.

    Ora c'è stato il Natale, che è diventato natal-carneval-mercato. Un cristiano, che vede in Gesù di Nazareth l'uomo compiuto, l'umanità realizzata, a cui tutti intimamente aspiriamo, dovrebbe lamentare la scristianizzazione del Natale. Io no. Gesù è nato di nascosto, immerso totalmente nell'umanità com'è, e ne promuove passo passo l'umanizzazione. Restiamo unmani, diventiamo umani. C'è chi non vuole il Natale perché confonde ancora, per una vecchia confusione che gli hanno messo in testa, l'annuncio cristiano col clericalismo (e non vede che il vangelo supera e smonta ogni potere clericale, quello che ha condannato Gesù). Nessuno lo obbliga, ma se mi propone il 25 aprile invece del 25 dicembre, apre una buffa "guerra di religione, o di piccinerie", di cui non c'è bisogno. Facciamo tutte le feste che hanno senso, perciò il 4 novembre denunciamo e piangiamo i 600.000 ammazzati dallo stato, e specialmente onoriamo i ribelli alla follia bellica, fucilati alle spalle dai comandi militari. E il 2 giugno, festa del voto assolutamente senza armi, aboliamo l'indebita parata militare, che non è il simbolo dello stato (simbolo semmai della sua incapacità civile), e facciamo una festa tutta civile, della solidarietà popolare e interpopolare. Non ci vuole molto. Basta capirlo.
Auguri sinceri a tutti! Enrico

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