LA
"REGOLA D'ORO"
Da
sistemare
l’ordine cronologico
Da
integrare con file su P C Bori
Raccolgo
qui le 36 formulazioni
che ho rintracciato, nelle religioni e nelle sapienze di tutta
l’umanità, della regola fondamentale e universale dell’etica
umana. Consiglio anche di vedere nel libro di Pier Cesare Bori, Per
un consenso etico tra culture,
seconda edizione, Marietti 1995, la nota 206 a p. 106.
Una
prima raccolta parziale fu pubblicata su il
foglio n. 226,
Torino, gennaio 1996 (www.ilfoglio.info)
e poi in Servitium,
Quaderni di ricerca
spirituale,
(s.egidio@servitium.it),
n.152, marzo/aprile 2004, fascicolo Riconoscimento
e disprezzo, pp.
103-108. Aggiornamenti e correzioni 20 giugno 2010, 17 dicembre 2011.
Induismo
«Ecco
la somma della vera onestà: tratta gli altri come vorresti essere
trattato tu stesso. Non fare al tuo vicino ciò che non vorresti che
egli poi rifacesse a te. Tratta tutti gli altri come tratteresti te
stesso».
(Mahabharata
XIII.113-8.115-19).
«Questo
è il centro del dovere: non fare agli altri ciò che causerebbe
dolore se fatto a te»
(Mahabharata
5:
1517).
«Non
ci si dovrebbe comportare con gli altri in un modo che sarebbe
sgradevole a noi stessi; questa è l'essenza della morale».
(Mahabharata
13, 148.8).
Sri
Shankaracharya (il maggiore esponente della filosofia advaita,
non-dualismo), afferma che lo yogi, nonviolento verso gli altri, deve
identificare il sé di tutti gli esseri con il proprio, deve fare
agli altri solo ciò che gradirebbe lui stesso ed evitare ciò che
non vorrebbe fosse fatto a sé.
(Sri
Shankaracharya, Commento alla Bhagavad Gita, VI.32)
Ebraismo
«Non
fare a nessuno ciò che non piace a te».
(Bibbia,
libro di Tobia, 4,15).
«Ama
il prossimo tuo come te stesso».
(Legge
ebraica in Levitico, 19,18; cfr anche 19,34).
«Ciò
che è odioso a te, non farlo al tuo vicino»
(Hillel,
Talmud,
Shabbath
31a)
Filosofia
cinese
«La
Via non è lontana dall'uomo. Se l'uomo segue una via lontana dalla
natura umana, questa non può dirsi la Via. (…). Chi ha il senso
della lealtà e della reciprocità non è lontano dal giungere alla
Via: ciò che non vuole sia fatto a sé non fa agli altri».
(Confucio, Chung-Yung, L'invariabile mezzo, n.13).
«Il
sapiente ha detto: la mia dottrina è semplice, e il suo significato
è facile da penetrare. Essa consiste nell'amare il prossimo come se
stessi».
(Confucio,
Lun-yü, I Dialoghi, cit. in Lev Tolstoj, Pensieri per ogni
giorno, Introduzione e traduzione di Pier Cesare Bori, Edizioni
Cultura della Pace, Fiesole 1995, p.121. Nuova edizione, Piano B
edizioni, Prato 2016, p. 139). (1)
(1)
E' giusto avvertire che Tolstoj
compilò questa raccolta di pensieri sapienziali con un interesse non
tanto storico-letterario quanto essenzialmente formativo, per cui i
testi sono da lui non solo tradotti ma spesso interpretati e
parafrasati. Ma la cura filologica non è assente, essendo anzi
richiesta dal carattere e dallo scopo stesso dell'opera, che non
nasce dalla voce di Tolstoj, ma da voci di ogni tempo, lingua,
cultura, religione. Cfr Introduzione
di Pier Cesare
Bori, pp .7-10 della prima edizione, pp. 5-9 della seconda .
«Dominare
se stessi quanto è necessario per onorare gli altri come se stessi e
comportarsi con loro come vogliamo che gli altri si comportino con
noi: ecco quel che si può chiamare dottrina della virtù
dell'umanità. Non c'è nulla di più elevato».
(Confucio,
testo non rintracciato, cit. in Tolstoj, op. cit. p.167 della
prima edizione, p.193 della
seconda)
«Ching-Kung
interrogò sulla carità. Confucio rispose: "(...) Nel comandare
al popolo comportati come se offrissi il grande sacrificio; ciò che
non vuoi sia fatto a te non fare agli altri"».
(Confucio,
Lun-yü, I Dialoghi, 12,2).
«Tzu-kung
domandò: "Vi è una parola su cui si possa basare la condotta
di tutta la vita?". "Essa è shu, reciprocità -
rispose Confucio. - Ciò che non vuoi sia fatto a te non fare agli
altri"».
(Confucio,
Lun-yü, I Dialoghi, 15,23).
«Il
principe non tratta gli inferiori nel modo che gli dispiace nei
superiori».
(Commento
di Tseng-Tzu al Grande studio di Confucio, n. 10).
«Sicuramente
questo è il massimo della bontà: non fare agli altri ciò che non
vorresti che essi facessero a te».
(Confucianesimo,
Analetti 15,23).
«L'uomo
buono deve compatire le cattive tendenze degli altri; rallegrarsi
della loro eccellenza; aiutarli se sono in distretta; considerare i
loro successi come i suoi propri e così i loro insuccessi».
(Taoismo,
Thai-Shang,
3).
«Guarda
al guadagno del tuo vicino come fosse tuo, ed alla sua perdita come
se fosse la tua perdita»
(T'ai
Shang Kan Ying P'ien, 213-218).
«Mettersi
al posto degli altri» (Zuhang-zi) (segnalatomi da Pier Cesare Bori,
nel diario che ci scambiavamo, in data ….. da rintracciare)
Giainismo
«L'uomo
dovrebbe comportarsi con indifferenza nei confronti di tutte le
realtà mondane e trattare tutte le creature del mondo come egli
stesso vorrebbe essere trattato».
(Sutrakritanga
I.11.33).
Buddhismo
«Uno
stato che non è gradevole o piacevole per me, non deve esserlo
neppure per lui; e uno stato che non è gradevole o piacevole per me,
come posso io pretenderlo per un altro?».
(Samyutta
Nikaya 5, 353.35-354.2).
«Tutti
tremano al castigo, tutti temono la morte, tutti hanno cara la vita:
mettendoti al posto degli altri, non uccidere, né fa uccidere».
(Buddha,
Dhammapada, I versi della legge, 10, 129-130).
«Non
ferire gli altri in modi dai quali anche tu ti sentiresti ferito».
(Udana-Varga
5,18).
Zoroastrismo
«Buona
è soltanto quella natura che non fa agli altri ciò che non è buono
per lei».
(Zoroastrismo,
Dadistan-i-Dinik 94,5).
Latinità
«Tratta
l'inferiore come vorresti essere trattato dal tuo superiore».
(Seneca,
Lettere a Lucillo, lettera 47, sul trattamento umano degli
schiavi).
«Il
bene maggiore è operare secondo la legge della propria ragione. Ma
questa legge ti comanda incessantemente di fare il bene degli altri,
come il massimo bene per te stesso».
(Marco
Aurelio, cit. in Tolstoj, Pensieri per ogni giorno, op. cit.,
p. 79 prima edizione, 89 seconda edizione).
«Gli
uomini sono nati l'uno per l'altro»
(Marco
Aurelio, Ricordi [Eis eautòn], VIII, 59 e in altri luoghi)
Ebraismo
«Una
volta un pagano (...) disse: "Convertimi, a condizione di
imparare tutta la Torah nel tempo in cui si può stare ritti su di un
solo piede". (...). Hillel lo convertì dicendogli: "Ciò
che a te non piace non farlo al tuo prossimo! Questa è tutta la
Torah, il resto è commento; va' e studia"».
(Ebraismo,
Shabbat 31a, cit. in R. Pacifici, Midrashim, Marietti,
Genova 1986, p.177-8).
Cristianesimo
«Tutto
quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Questa è la legge e i profeti».
(Gesù
di Nazareth, Vangelo secondo Matteo 7,12; 22, 39 e Vangelo
secondo Luca 6,31).
«La
legge trova la sua pienezza in una sola parola: amerai il tuo
prossimo come te stesso».
(Lettere
di Paolo ai Galati 5,14 e ai Romani 13,9).
(Didachè,
insegnamento cristiano della fine del primo secolo, 1,3).
Islam
«Nessuno
di voi è un credente fino a quando non desidera per il suo fratello
quello che desidera per se stesso».
(dagli
hadith (detti) del Profeta Muhammad, in Detti e fatti del Profeta
dell’Islam raccolti da al-Buhari, a cura di V. Vacca, S Noja e
M. Vallaro, Utet, Torino 1982, cap. II; e in 40 Hadithe di
an-Nawawi, in H. Küng-K.J. Kuschel, Per un'etica mondiale.
Dichiarazione del Parlamento delle religioni mondiali, Rizzoli,
Milano 1995, pp.78-79).
Modernità
«Mettersi
al posto degli altri».
(Voltaire,
Lettere inglesi, n.42).
«Agisci
in modo che la regola della tua volontà possa valere in ogni tempo
come principio di una legislazione universale». Oppure: «Agisci in
modo da trattare l'umanità, nella tua come nell'altrui persona,
sempre come fine, mai come semplice mezzo».
(Immanuel
Kant, 1724-1804, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari
1974, p.39, e Fondamenti della metafisica dei costumi, La
Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 95-96, 103-104, cit. anche, come
espressione di etica universale, in Hans Küng, Progetto per
un'etica mondiale, Rizzoli, Milano 1991, p.82-83).
Fede
Baha'i
«Benedetto
chi a sé preferisce il fratello».
(Tavole
di Bahà'u'llàh, iniziatore della fede baha’i).
Contemporanei
«Anche
Lei attribuisce al laico virtuoso la persuasione che l'altro sia in
noi. Ma non si tratta di una vaga propensione sentimentale, bensì di
una condizione fondante».
(Umberto
Eco, in dialogo con Carlo Maria Martini, Liberal, febbraio
1996, e Adista, 17 febbraio 1996, p. 9; ora in U. Eco - C. M.
Martini, In che cosa crede chi non crede?, Atlantide ed., 1996
e in U. Eco, Cinque scritti morali, Bompiani 1997, p. 85).
«Tutti
gli uomini dotati di ragione e di coscienza devono assumere
responsabilità, in spirito di solidarietà, nei confronti di
ciascuno e di tutti: cioè famiglie, comunità, razze, nazioni e
religioni. Ciò che tu non vuoi che ti venga fatto non farlo a nessun
altro».
(Dichiarazione
Universale dei Doveri dell’Uomo, art. 4; proposta
dall’InterAction Council all’Onu; Die Zeit, 3 ottobre
1997; il foglio, n. 244, Torino, dicembre 1997).
«La
Regola d’Oro può allora enunciarsi cosi’: “Agisci verso gli
altri in modo che gli altri possano agire nello stesso modo verso
chiunque”. Ciò implica in primo luogo e anzitutto l’imperativo
categorico seguente: “Non agire verso gli altri in modo tale che se
gli altri agissero nello stesso modo la vita sarebbe impossibile”.
E questo esige anzitutto da ciascuno che egli rinunci a esercitare la
violenza verso altri. Così, solo la nonviolenza può fondare
l’universalità della legge morale alla quale devono conformarsi
gli esseri ragionevoli».
(Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Prefazione di Roberto Mancini, Traduzione di Enrico Peyretti, Plus,
Pisa University Press, 2004, p. 79-80)
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Tre note
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1. Kant e la Regola aurea (29 luglio 2007)
Pier
Cesare Bori, nell’articolo L’insegnamento
di morale religiosa nelle carceri,
in L’ospite
ingrato, Semestrale
del Centro Studi Franco Fortini,
(ospiteingrato@prometeo.lett.unisi.it),
Biblioteca della facoltà di lettere e filosofia, via Fieravecchia
19, 53100 Siena, n. 2 / 2006, Il
disagio nella civiltà cristiana,
alle pp. 51-56, Edizioni Qoudlibet, Macerata 2006, a p. 54 scrive:
«Uno
strumento efficace è la cosiddetta Regola d’oro. (...) Conosciamo
i limiti della regola. Sappiamo che va distinta dall’imperativo
categorico kantiano perché la regola d’oro si riferisce a un punto
di vista individualistico e utilitaristico (per questo Kant la
ritiene “triviale”). La regola riceve il suo pieno significato
solo al termine di un processo pedagogico in cui la persona ha la
possibilità di conoscere meglio se stessa e i suoi bisogni (...)».
Riferisce
poi l’essenziale della riflessione confuciana sulla Regola d’oro,
che distingue tra due componenti: zhon,
che significa la lealtà alla propria comunità, e shu,
l’idea dell’amore e della cura dell’altro nella sua corporeità.
Nella sintesi di queste due componenti, shu
ha sempre il primato (da Q.J. Wang, Golden Rule and Interpersonal
care, «Philosophy East and West», 49/4, 1999).
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2.
La critica di Paul Ricoeur:
«La
regola appare suscettibile di due interpretazioni: una interessata,
l'altra disinteressata. Solo il comandamento può decidere in favore
della seconda contro la prima». (Amore
e giustizia,
Morcelliana 2000, p. 41, ma da p. 36 a p. 45, ripresa dal curatore
nella sua Postfazione, alle pp. 54-58). Nella prima interpretazione,
in base al principio dell’equivalenza, potrebbe essere avvicinata
alla legge del taglione (Albrecht Dihle, citato a p. 37)
A
p. 37 Ricoeur fa notare come in Luca 6,32-35 il comandamento della
sovrabbondanza segue subito, quasi per correggerla, l’enunciazione
della regola d’oro nel v. 31.
3.
Ho ripreso queste e altre riflessioni sulla regola d'oro nel libro
Elogio
della gratitudine
(Cittadella editrice 2015, pp. 53-57),
Enrico Peyretti
(ultima
revisione 28 gennaio 2017)
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