giovedì 28 febbraio 2019

19 03 01 venerdì + Marco 10, 1-12 + Domande di vita

Marco 10
[1] Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare.
[2] E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: "È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?".
[3] Ma egli rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?".
[4] Dissero: "Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla".
[5] Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.
[6] Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina;
[7] per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.
[8] Sicché non sono più due, m una sola carne.
[9] L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto".
[10] Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse:
[11] "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei;
[12] se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio".

Abbiamo letto e riletto questo brano, nella chiesa, nelle morali, nelle coscienze. Inesauribile. "La Scrittura cresce con chi la legge" (Gregorio Magno). Intanto vediamo lo spirito dei farisei (solo dei farisei?); "Che cosa posso fare senza incorrere nella condanna?". La giusta domanda sarebbe. "Che cosa devo fare per vivere già ora la vita eterna?" (Matteo 19,16; Marco 10, 17; Luca 18,189). Domande di vita aspetta Gesà, e non di morte. Di vita è la sua risposta: orizzonti di cammino, di dono, di respiro, e non di confini tra permesso e proibito, tutto per non toccare il filo spinato elettrico della nostra prigionia, come se lo Spirito non ci liberasse il cammino, che è fare bene, e ccosì evitare il male.

mercoledì 27 febbraio 2019

19 02 28 Giovedì + Marco 9, 41-50 + Chiede molto, basta poco

[41] Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
[42] Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.
[43] Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.
[44] .
[45] Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.
[46] .
[47] Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,
[48] dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.
[49] Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.
[50] Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".

Il vangelo esige molto – fino all'amore dei nemici -, ma riconosce anche il piccolo bene: un bicchiere dato con amore è il paradiso. "Nel mio nome" forse vuol dire: nello spirito di Gesù, anche se uno non lo conosce (Matteo 25). Sullo scandalo dei piccoli, doloroso tema attuale, si possono vedere testi importanti e rivelatori come quello di Rosanna Virgili in www.chiesadituttichiesadeipoveri.it .
I paradossi molto severi di Gesù indicano la gravità del far male ai piccoli, poveri, deboli. La minaccia dell'inferno vuol dire che Gesù ne afferma l'esitenza reale, come ci ha detto a lungo la tradizione? Il suo messaggio è bene e salvezza, non è condanna. L'immagine materiale dell'inferno può significare l'estrema caduta nel nulla, il fallimento di una vita che eventualmente rifiuti tutto il bene e faccia tutto il male.
19 02 27 mercoledì + Marco 9, 38-40 + L'amore, dovunque sia

[38] Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".
[39] Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.
[40] Chi non è contro di noi è per noi.

Qualcuno, fuori dalla comunità dei discepoli, ha fatto del bene, ha diffuso uno spirito buono, ha guarito cuori malati. La tentazione dei discepoli è quella di sempre anche nella chiesa: noi conosciamo la salvezza, fuori di qui non ce n'è! Gesù, che pure è esigente, indica che lo spirito del Padre buono va dove vuole, come il vento. Ma cosa vuol dire "nel mio nome"? Gesù forse restringe di nuovo l'azione del bene, che vale solo se fatto credendo e fidando in lui? Non lo so. Potrebbe anche significare: se uno fa del bene con uno spirito (intenzione, volontà) come la mia, cioè di amore, non è contro di me. Forse il v. 40 conferma questa interpretazione. Ma ora, a noi, cosa ci può dire? Forse ci dice che dobbiamo saper riconoscere il bene, l'amore per gli altri, dovunque si presenti, sotto qualunque idea. Del tresto, nel giudizio in Matteo 25, Gesù non chiede se abbiamo creduto in lui, ma se abbiamo soccorso il povero, con cui lui si identifica.

martedì 26 febbraio 2019

19 02 26 martedì + Marco 9, 30-37 +

[30] Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.
[31] Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".
[32] Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
[33] Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?".
[34] Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.
[35] Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".
[36] E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
[37] "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".

Proviamo a metterci nell'animo di Gesù, attraverso i ricordi raccolti da chi ha scritto di lui, perché egli metta il suo animo in noi. I discepoli, dopo la sua morte, ricordano che egli ogni tanto confidava loro di essere consapevole che sarebbe stato rifiutato e ucciso. E con la loro esperienza pasquale capiscono ora che egli sapeva anche di non finire nella morte, perché il Padre era sempre con lui. Ma mentre Gesù confidava questa sua pena per il rifiuto del vangelo, neppure i discepoli capivano, lasciandolo ancora più solo. Anzi, addirittura gareggiano a chi si sente più grande, pensando forse a progetti di vittoria e di carriera per il giorno che Gesù avrebbe ricostituto il regno d'Isarele (come lo pensavano loro, mentre lui parlava invece di regno di Dio). Gesù sopporta la delusione, con molta pazienza, e cerca di educare questi amici dalla testa dura: "Accogliete i piccoli e i poveri, se volete essere davvero grandi, e così accogliete me povero, e accogliete il Padre che mi ha mandato a voi non con la potenza ma con la vicinanza e l'amore".

lunedì 25 febbraio 2019

Dal capitalismo ai populismi

Francis Fukuyama, il politologo nippo-americano celebre per aver dichiarato, nel 1992, la "fine della storia" con la vittoria del capitalismo sul comunismo, nella democrazia liberale, ora ci dà una sua spiegazione dei populismi. In un articolo riferito a Primapagina (24 febbraio 2019), e in uno precedente, di ottobre, ci dice che i populismi nascono da ura rivendicazione di dignità, di onore, più che da fattori economici. Un nazionalismo, quindi, a fondamento morale? Un superamento dell'economicismo materiale, inferiore?
Fukuyama ora scrive che l’identità è un fattore determinante della politica, ma rivendica di avere scritto costantemente di identità nel corso degli anni, a partire dal 1992. Di identità scrivevano anche Amin Maalouf, libanese, nel 1998, col titolo "Les identités meurtrières" (mortifere, micidiali), e Amartya Sen, indiano, nel 2006, "Identità e violenza".
Molteplici identità rivestono ogni persona: quando una di esse viene isolata, disconosciuta e oppressa, fatta oggetto di conflitto, allora emerge sulle altre, si difende, si fa rivendicazione, rischia di farsi violenta sopraffazione, a scapito della comune universale identità umana, che sottende e sostiene tutte le differenze.
Se, in tensione con la globalizzazione squilibrata, nei populismi le identità nazionali esigono riconoscimento e affermazione, c'è forse in ciò una consapevolezza umana superiore, più spirituale dell'economicismo materiale? C'è molto da dubitare. L'identità propria differente degenera se perde la sua realtà: essa è una faccia di quel poliedro che è la comune, intera e varia identità umana. Il riconoscersi umani sta nel riconoscere umano l'atro.
Vorrei chiamare questa maturità "socialismo sipirituale", ovvero spiritualità sociale, o umanesimo sociale, che poi non è altro che l'amore per tutti, effettivo più che affettivo, ovvero una amicizia civile senza confini. Per Mounier: personalismo comunitario. Il contrario, cioè, dell'orgogliosa differenza, che distacca una parte dell'umano e lo fa disumano, perché risecchito, inaridito, strappato dal terreno vitale, nel disprezzo dello straniero e del diverso, nell'inimicizia.
Il senso di cosiddetta dignità, come identità chiusa, e di cosiddetto onore come sovrastima di sé, sono sindromi antisociali, sono antiumanesimo, come il capitalismo che riduce l'umano all'avidità.
Fukuyama forse coglie che il denaro non basta, che cioè il problema è etico, è più intimo all'uomo. Ma subito c'è da decidere: scelgo me-per-me, senza o contro te? Oppure scelgo me-con-te, dove "te" è ogni altro, e per primo il bisognoso?
Cerchiamo identità proprio perché siamo smarriti. Il denaro – oltre che monumento dell'ingiustizia mondiale - non basta per esere umani. Ma allora, farò di me, di questo parziale "noi" – prima, o contro, o senza te né gli altri - il vero valore (dignità, onore, ...)? Oppure saprò vedere che il valore, la dignità, è comune ad ogni umano, nella diversità di ogni umano?
Il senso della dignità può essere eccitato, acuito, esasperato in quanto ristretto ad un settore dell'umanità – popolo, etnia, civiltà, lingua, cultura, religione. territorio, razza, - e così diventa superbia populista, fino al razzismo, eccitata e usata politicamente dal potere sfruttatore. Il quale una volta sfrutta il lavoro schiavo, una volta i soldati carne da cannone, ora sfrutta l'orgoglio-egoismo nazionale, pur di avere potere: un potere senza scopo di vita umana, a guardar bene, ma ossessione di imperare su altri con copertura "politica" del proprio vuoto.
e. p

domenica 24 febbraio 2019

19 02 25 luned' + Marco 9, 14-29 + Anche l'incomprensibile

[14] [Di ritorno dal monte della trasfigurazione] E giunti presso gli altri discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.
[15] Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.
[16] Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?".
[17] Gli rispose uno della folla: "Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.
[18] Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti".
[19] Egli allora in risposta, disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me".
[20] E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.
[21] Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia;
[22] anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".
[23] Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede".
[24] Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Credo, aiutami nella mia incredulità".
[25] Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più".
[26] E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto".
[27] Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
[28] Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".
[29] Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

C'è un ragazzo epilettico, la crisi è descritta con precisione, Gesù si informa come un medico che fa anamnesi e diagnosi. Tra Gesù e il padre del ragazzo, che lo invoca, c'è un piccolo grande dialogo sulla fede. Quell'uomo addolorato compone il minimo e massimo trattato sulla fede: "Credo, aiutami nella mia incredulità". Cioè: "Ho fede in te, ma è piccola e debole, e solo tu in cui credo puoi aiutarmi a credere meglio". Perché la fede non è la mia scelta di far conto su di te, è l'incontro profondo, personale, inesautibile, di una vita che aiuta una vita a vivere. L'epilessia è attribuita, (anche da Gesù, che ignora come gli altri quel che ne sappiamo oggi noi), a quache "soirito immondo", una specie più forte di spiriti malefici. Non pare che Gesù agisca sul piano fisico: la crisi cerebrale fa il suo corso e solo dopo Gesù solleva per mano il ragazzo svenuto. Che fare con questa specie di brutto male? Pregare, cioè mettere la vita, in ogni suo aspetto, anche l'incomprensibile, in comunione col Padre della vita.

venerdì 22 febbraio 2019

19 02 23 Sabato Marco 9, 2-13 + Basti un momento

[2] Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro
[3] e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
[4] E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.
[5] Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!".
[6] Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
[7] Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!".
[8] E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
[9] Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.
[10] Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
[11] E lo interrogarono: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".
[12] Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.
[13] Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

È la Trasfigurazione, una rivelazione, manifestazione, solo per i tre. Attraverso qualche segno visibile, Gesù manifesta la luce spirituale divina che lo abita, normalmente nascosta, che si può cogliere nelle sua azioni e parole. Ora è dato anche un poco vederla, intuirla, confermata da una parola udita nell'intimo. A me non piace la parola gloria, neppure per Gesù, né per il Padre. Pietro esprime la bellezza di quel momento, e vorrebbe perpetuarlo, ovviamente. Si vorrebbe non perdere più quello che di grande e di bello si coglie in un momento privilegiato, estatico. Ma siamo nel tempo, fatto di momenti diversi. Basti per sempre avere intuito, basti un momento di luce. E' inutile raccontare, anzi può essere equivoco, se non si è vissuto. Dopo, vengono le domande, le spiegazioni, che in quel momento non erano necessarie.
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giovedì 21 febbraio 2019

Venerdì 22 02 2019 Matteo 16,13-19

[13] Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?".
[14] Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti".
[15] Disse loro: "Voi chi dite che io sia?".
[16] Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".
[17] E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.
[18] E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
[19] A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
Oggi la liturgia romana festeggia la cattedra di san Pietro. Perciò si legge questo passo di Matteo.
Abbiamo letto ieri il parallelo in Marco 8, 27-33, che non ha il conferimento a Pietro delle chiavi del regno, che è qui nel v. 18 di Matteo. Queste parole si leggono in gigantesche lettere dorate sulla fascia interna della cupola di san Pietro in Vaticano: "Tu es Petrus et super hanc petram....". Si può pensare che la vera cattedra del primo degli apsotoli sia stata la sua fede, sincera e difettosa fino al triplice rinnegamento, ma poi testimoniata fino al martirio.
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mercoledì 20 febbraio 2019

19 02 21 Marco 8, 27-33 – Un Cristo dimezzato

19 02 21 Marco 8, 27-33 – Un Cristo dimezzato

[27] Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?".
[28] Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti".
[29] Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo".
[30] E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
[31] E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
[32] Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo.
[33] Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".

Se la persona di Gesù è il nostro riferimento per la vita, per il senso della vita, questo brano ci interroga. Gesù chiede agli amici di capire la coscienza che egli ha di sé, di essere inviato dal Padre, profeta di salvezza, messia. E perché non vuole che si sappia in giro, lasciando che la gente lo creda uno dei profeti passati, tornato vivo? Il motivo è che egli sa di dover soffrire lo scontro col sistema religioso, fino ad essere ucciso, e lo dice apertamente ai suoi amici, ma sarebbe pericoloso che lo sapessero le folle. Il fatto è che è difficile credere e accettare l'insegnamento di un messia sconfitto e schiacciato. Dev'essere vincitore! Forse per questo, per correggere le attese nazionali, Gesù annuncia sempre il regno di Dio, non la restaurazione di quello di Davide, di Israele. E a Pietro appassionato, che lo riconosce come Cristo, ma rifiuta quella sorte di dolore, Gesù rimprovera proprio di non pensare secondo Dio. Pietro ora accetta un Cristo dimezzato: tutta la luce, ma senza sofferenza. E noi? Sistemiamo Gesù nel nostro quadro religioso naturale, o riconosciamo in lui un modo inatteso di essere il Cristo? I nostri piccoli o grandi dolori trovano posto e senso nel seguire Gesù?
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martedì 19 febbraio 2019

19 02 20 - Marco 8, 22-26 - Il protocollo chirurgico
[22] Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.
[23] Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: "Vedi qualcosa?".
[24] Quegli, alzando gli occhi, disse: "Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano".
[25] Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa.
[26] E lo rimandò a casa dicendo: "Non entrare nemmeno nel villaggio".

Un miracolo in due tempi, laborioso, non magico. Dopo la prima applicazione di saliva, Gesù verifica il risultato con una domanda. Il cieco vede, ma piuttosto male, distingue gli uomini dagli alberi solo perché camminano. Deve avere una forte cataratta. Secondo toccamento (non chirurgico a modo nostro, ma "chirurgia" vuol dire proprio "lavoro delle mani"), e la vista è chiara, a distanza (vuol dire che è rimasto presbite?). Interessante che, all'inizio, gli amici del cieco chiedono a Gesù, non di guarrirlo, ma di toccarlo. Sanno che il suo contatto risana. Confidano (come in altri casi già visti) che il suo corpo, prima ancora della sua volontà, guarisca. E per prima cosa Gesù prende il cieco per mano, e lo conduce a parte, proprio come si fa con chi non vede il terreno. La mano supplisce agli occhi mancanti. Mano-saliva-mani-domanda-mani-dimissioni, è la sequenza delle operazioni di Gesù sul cieco, diremmo il protocollo chirurgico.
Cosa può significare per noi? Il contatto di guarigione con la persona di Gesù può essere non fulmineo, ma graduale, con mezzi risultati, con ritorni, fino ad un potere andare autonomi, con una luce propria ricevuta; andare a casa propria, al proprio compito, senza nemmeno più il bisogno di passare a Betsàida, forse perché Gesù non vuole clamore attorno al miracolo, forse perché il guarito non ha più bisogno degli amici che lo hanno condotto a Gesù.
19 02 19 martedì  + Marco 8, 14-21 + sulla barca

Marco 8, 14-21
[14] Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo.
[15] Allora egli li ammoniva dicendo: "Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!".
[16] E quelli dicevano fra loro: "Non abbiamo pane".
[17] Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: "Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?  [18] Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate,
[19] quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?". Gli dissero: "Dodici".
[20] "E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?". Gli dissero: "Sette". [21] E disse loro: "Non capite ancora?".


Si legge la Parola nuova per vivere in un modo nuovo. Questo episodio di preoccupazione per il pane dimenticato, di lievito non buono, e di "cuore indurito", cosa ci propone per oggi? E' un quadro di vita quotidiana, domestica (se non fosse in barca). Non solo hanno dimenticato il pane, ma anche quello che Gesù ha fatto poco prima, col pane. Cosa vuol dire? Forse che può moltiplicare quell'unico pane per il numero dei discepoli sulla barca? Che cosa non capiscono, e che cosa dobbiamo capire noi? Cerco in qualche buon commento. Il "lievito" dei farisei (un fermento, un contagio, aggiunto al pane pasquale non lievitato, ed è metafora di orgoglio, ipocrisia; cfr 1 Corinti 5,7-8) sarebbe la pretesa di credere solo con la prova materiale del miracolo (vedi subito prima, vv. 11.13). Gandhi, che conosceva la fame del suo popolo, forse non ha letto questo vangelo (ma sì, e bene, le beatitudini), ma ha detto: "nel mondo c'è abbastanza per soddisfare i bisogni di ognuno, ma non a sufficienza per saziare l'ingordigia di alcuni" (Pontara, L'antibarbarie, Ega 2006, 301; cfr Nanni Salio, Elementi di economia nonviolenta, Edizioni del Mov. Nonviolento, 2001, 9). Non è altra cosa da quel che fa Gesù col pane. Possiamo capire dal vangelo che la fraternità, la socializzazione e non la rivalità, è un principio anche economico di benessere, una economia di condivisione, di dono, di sufficienza contenta. Il regno di Dio non è sulle nuvole, dove non si mangia pane, ma è già qui, in mezzo a noi, se crediamo e pratichiamo. Qua e là c'è. Sulla barca di Gesù non capivano ancora, quel giorno, e lui lo constatava con tristezza.

martedì 5 febbraio 2019

31 gennaio 2019 – Memoria di Nanni Salio
Nanni è morto troppo presto. Una delle ultime discussioni con lui, dopo la presentazione di un libro (non ricordo quale) fu sulla tesi che le religioni sono nate per paura della morte, per rimedio-opposizione-consolazione alla morte.
Io lo contestavo dicendo che sono nate anche da un  sentimento positivo della grandezza che ci avvolge, ci genera, ci  nutre, ci sprona, ci accoglie. Ma anche lui aveva ragione. La morte non deve esserci. La morte non va solo addomesticata e consolata. La morte anzitutto la respingiamo. Vogliamo vivere. Dice bene Lucilla Giagnoni (e non solo lei): "Non vincere, ma vivere!". La vera unica vittoria che vale è la vittoria sulla morte.
Ma non è solo la natura con la sua energia e col suo limite, che ci fa morire. Ci diamo noi  la morte artificiale, aggiunta, costruita, voluta, inflitta ad altri. Questa è la vera nemica di Nanni e nostra: la violenza in tutte le sue forme, che sono le forme della morte. Nanni ha combattuto la morte combattendo la violenza. Come si combatte la violenza? L'impulso più primitivo, meno intelligente ed evoluto, è combattere la violenza con una violenza più forte: distruggere chi distrugge. Ed è la dannata stolta spirale che ancora in grande parte caratterizza le azioni umane, specialmente le azioni delle organizzazioni potenti. Ma anche in troppo grande misura i sistemi legislativi e la giustizia penale, punitiva più che riparativa.
Come si combatte davvero la violenza? Con una forza più grande, perché costruttiva, creativa, e non distruttiva. Ahimsa, nonviolenza, è parola positiva (negazione di negazione) che significa forza della vita, forza dell'amore che unisce e, nei conflitti, tra le differenze, non fa contrapposizione escludente, ma composizione più alta: questa è stata la passione, lo studio, l'impegno, la missione che ha riempito la vita di Nanni di una forza che ridonda sulla fine del tempo datogli dalla natura. Questa "religione", che è anche storia effettiva, è antica come le montagne, e Gandhi è il suo profeta nel Novecento.
Ma poi la morte ha vinto su Nanni? La malattia ha stritolato dall'interno il suo corpo. Chi lo ha visto nelle ultime ore di vita soffre ancora la contraddizione inaccettabile. Ma è un fatto. Come un vaso rotto irrora la terra, così muore una vita piena. Il lavoro di Nanni è consegnato a quanti di noi sentono la sua passione e, in vari modi, la soffrono, perciò la vivono.
E' vero, come diceva Nanni in quella discussione, che c'è una religione contro la morte. Più di una religione. Con differenze di visioni e di formulazioni, ogni cura della vita e della relazione tra le vite, tra tutte le vite, è la religione della vita contro la morte. Il giorno che toglieremo la morte artificiale, la morte aggiunta, costruita dalle nostre arti omicide, costruita dalle nostre politiche di esclusione e di respingimento - politiche che accusiamo, denunciamo, a cui facciamo resistenza civile in questi stessi giorni, politiche che gettano altri nella morte - quel giorno celebreremo il felice rito continuo della vita. Noi crediamo in questa religione dai molti nomi, come la vita ha molti nomi e volti.  E anche se la morte naturale ci prenderà da questa forma di vita riconsegnandoci alla terra e all'aria, come abbiamo fatto del corpo di Nanni, quella morte sarà un compimento, un parto, un finire per ricominciare, una consegna, un'accoglienza, come il seme nella terra è l'inizio del fiore e del frutto. Noi sappiamo poco e vediamo poco, ma sappiamo che la vita vale, e sappiamo che la potenza contro la vita non vale, non deve esserci. La vita di Nanni è stata un valore che non si perde, non si è perduto, è attorno a noi, ci istruisce e ci incoraggia. Nanni è morto troppo presto, eppure, così, possiamo darci pace, e dare pace a lui.
Enrico Peyretti