31
gennaio 2019 – Memoria di Nanni Salio
Nanni
è morto troppo presto. Una delle ultime discussioni con lui, dopo la
presentazione di un libro (non ricordo quale) fu sulla tesi che le
religioni sono nate per paura della morte, per
rimedio-opposizione-consolazione alla morte.
Io
lo contestavo dicendo che sono nate anche da un
sentimento positivo della grandezza che ci avvolge, ci genera, ci
nutre, ci sprona, ci accoglie. Ma anche lui aveva ragione. La morte
non deve esserci. La morte non va solo addomesticata e consolata. La
morte anzitutto la respingiamo. Vogliamo vivere. Dice bene Lucilla
Giagnoni (e non solo lei): "Non vincere, ma vivere!". La
vera unica vittoria che vale è la vittoria sulla morte.
Ma non è solo
la natura con la sua energia e col suo limite, che ci fa morire. Ci
diamo noi la morte artificiale, aggiunta, costruita, voluta,
inflitta ad altri. Questa è la vera nemica di Nanni e nostra: la
violenza in tutte le sue forme, che sono le forme della morte. Nanni
ha combattuto la morte combattendo la violenza. Come si combatte la
violenza? L'impulso più primitivo, meno intelligente ed evoluto, è
combattere la violenza con una violenza più forte: distruggere chi
distrugge. Ed è la dannata stolta spirale che ancora in grande parte
caratterizza le azioni umane, specialmente le azioni delle
organizzazioni potenti. Ma anche in troppo grande misura i sistemi
legislativi e la giustizia penale, punitiva più che riparativa.
Come si combatte
davvero la violenza? Con una forza più grande, perché costruttiva,
creativa, e non distruttiva. Ahimsa, nonviolenza, è parola positiva
(negazione di negazione) che significa forza della vita, forza
dell'amore che unisce e, nei conflitti, tra le differenze, non fa
contrapposizione escludente, ma composizione più alta: questa è
stata la passione, lo studio, l'impegno, la missione che ha riempito
la vita di Nanni di una forza che ridonda sulla fine del tempo
datogli dalla natura.
Questa "religione", che è anche storia effettiva, è
antica come le montagne, e Gandhi è il suo profeta nel Novecento.
Ma poi la morte ha vinto su Nanni? La malattia ha
stritolato dall'interno il suo corpo. Chi lo ha visto nelle ultime
ore di vita soffre ancora la contraddizione inaccettabile. Ma è un
fatto. Come un vaso rotto irrora la
terra, così muore una vita piena. Il lavoro di Nanni è consegnato a
quanti di noi sentono la sua passione e, in vari modi, la soffrono,
perciò la vivono.
E' vero, come
diceva Nanni in quella discussione, che c'è una religione contro la
morte. Più di una religione. Con differenze di visioni e di
formulazioni, ogni cura della vita e della relazione tra le vite, tra
tutte le vite, è la religione della vita contro la morte. Il giorno
che toglieremo la morte artificiale, la morte aggiunta, costruita
dalle nostre arti omicide, costruita dalle nostre politiche di
esclusione e di respingimento - politiche che accusiamo, denunciamo,
a cui facciamo resistenza civile in questi stessi giorni, politiche
che gettano altri nella morte - quel giorno celebreremo il felice
rito continuo della vita. Noi crediamo in questa religione dai molti
nomi, come la vita ha molti nomi e volti. E anche se la morte
naturale ci prenderà da questa forma di vita riconsegnandoci alla
terra e all'aria, come abbiamo fatto del corpo di Nanni, quella morte
sarà un compimento, un parto, un finire per ricominciare, una
consegna, un'accoglienza, come il seme nella terra è l'inizio del
fiore e del frutto. Noi sappiamo poco e vediamo poco, ma sappiamo che
la vita vale, e sappiamo che la potenza contro la vita non vale, non
deve esserci. La vita di Nanni è stata un valore che non si perde,
non si è perduto, è attorno a noi, ci istruisce e ci incoraggia.
Nanni è morto troppo presto, eppure, così, possiamo darci pace, e
dare pace a lui.
Enrico Peyretti
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