Dal
capitalismo ai populismi
Francis
Fukuyama, il politologo nippo-americano celebre per aver dichiarato,
nel 1992, la "fine della storia" con la vittoria del
capitalismo sul comunismo, nella democrazia liberale, ora ci dà una
sua spiegazione dei populismi. In un articolo riferito a Primapagina
(24 febbraio 2019), e in uno precedente, di ottobre, ci dice che i
populismi nascono da ura rivendicazione di dignità, di onore, più
che da fattori economici. Un nazionalismo, quindi, a fondamento
morale? Un superamento dell'economicismo materiale, inferiore?
Fukuyama ora scrive che
l’identità è un fattore determinante della politica, ma rivendica
di avere scritto costantemente di identità nel corso degli anni, a
partire dal 1992. Di identità scrivevano anche Amin Maalouf,
libanese, nel 1998, col titolo "Les identités meurtrières"
(mortifere, micidiali), e Amartya Sen, indiano, nel 2006, "Identità
e violenza".
Molteplici
identità rivestono ogni persona: quando una di esse viene isolata,
disconosciuta e oppressa, fatta oggetto di conflitto, allora emerge
sulle altre, si difende, si fa rivendicazione, rischia di farsi
violenta sopraffazione, a scapito della comune universale identità
umana, che sottende e sostiene tutte le differenze.
Se,
in tensione con la globalizzazione squilibrata, nei populismi le
identità nazionali esigono riconoscimento e affermazione, c'è forse
in ciò una consapevolezza umana superiore, più spirituale
dell'economicismo materiale? C'è molto da dubitare. L'identità
propria differente degenera se perde la sua realtà: essa è una
faccia di quel poliedro che è la comune, intera e varia identità
umana. Il riconoscersi umani sta nel riconoscere umano l'atro.
Vorrei
chiamare questa maturità "socialismo sipirituale", ovvero
spiritualità sociale, o umanesimo sociale, che poi non è altro che
l'amore per tutti, effettivo più che affettivo, ovvero una amicizia
civile senza confini. Per Mounier: personalismo comunitario. Il
contrario, cioè, dell'orgogliosa differenza, che distacca una parte
dell'umano e lo fa disumano, perché risecchito, inaridito, strappato
dal terreno vitale, nel disprezzo dello straniero e del diverso,
nell'inimicizia.
Il
senso di cosiddetta dignità, come identità chiusa, e di cosiddetto
onore come sovrastima di sé, sono sindromi antisociali, sono
antiumanesimo, come il capitalismo che riduce l'umano all'avidità.
Fukuyama
forse coglie che il denaro non basta, che cioè il problema è etico,
è più intimo all'uomo. Ma subito c'è da decidere: scelgo
me-per-me, senza o contro te? Oppure scelgo me-con-te, dove "te"
è ogni altro, e per primo il bisognoso?
Cerchiamo
identità proprio perché siamo smarriti. Il denaro – oltre che
monumento dell'ingiustizia mondiale - non basta per esere umani. Ma
allora, farò di me, di questo parziale "noi" – prima, o
contro, o senza te né gli altri - il vero valore (dignità, onore,
...)? Oppure saprò vedere che il valore, la dignità, è comune ad
ogni umano, nella diversità di ogni umano?
Il
senso della dignità può essere eccitato, acuito, esasperato in
quanto ristretto ad un settore dell'umanità – popolo, etnia,
civiltà, lingua, cultura, religione. territorio, razza, - e così
diventa superbia populista, fino al razzismo, eccitata e usata
politicamente dal potere sfruttatore. Il quale una volta sfrutta il
lavoro schiavo, una volta i soldati carne da cannone, ora sfrutta
l'orgoglio-egoismo nazionale, pur di avere potere: un potere senza
scopo di vita umana, a guardar bene, ma ossessione di imperare su
altri con copertura "politica" del proprio vuoto.
e.
p
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