lunedì 25 febbraio 2019

Dal capitalismo ai populismi

Francis Fukuyama, il politologo nippo-americano celebre per aver dichiarato, nel 1992, la "fine della storia" con la vittoria del capitalismo sul comunismo, nella democrazia liberale, ora ci dà una sua spiegazione dei populismi. In un articolo riferito a Primapagina (24 febbraio 2019), e in uno precedente, di ottobre, ci dice che i populismi nascono da ura rivendicazione di dignità, di onore, più che da fattori economici. Un nazionalismo, quindi, a fondamento morale? Un superamento dell'economicismo materiale, inferiore?
Fukuyama ora scrive che l’identità è un fattore determinante della politica, ma rivendica di avere scritto costantemente di identità nel corso degli anni, a partire dal 1992. Di identità scrivevano anche Amin Maalouf, libanese, nel 1998, col titolo "Les identités meurtrières" (mortifere, micidiali), e Amartya Sen, indiano, nel 2006, "Identità e violenza".
Molteplici identità rivestono ogni persona: quando una di esse viene isolata, disconosciuta e oppressa, fatta oggetto di conflitto, allora emerge sulle altre, si difende, si fa rivendicazione, rischia di farsi violenta sopraffazione, a scapito della comune universale identità umana, che sottende e sostiene tutte le differenze.
Se, in tensione con la globalizzazione squilibrata, nei populismi le identità nazionali esigono riconoscimento e affermazione, c'è forse in ciò una consapevolezza umana superiore, più spirituale dell'economicismo materiale? C'è molto da dubitare. L'identità propria differente degenera se perde la sua realtà: essa è una faccia di quel poliedro che è la comune, intera e varia identità umana. Il riconoscersi umani sta nel riconoscere umano l'atro.
Vorrei chiamare questa maturità "socialismo sipirituale", ovvero spiritualità sociale, o umanesimo sociale, che poi non è altro che l'amore per tutti, effettivo più che affettivo, ovvero una amicizia civile senza confini. Per Mounier: personalismo comunitario. Il contrario, cioè, dell'orgogliosa differenza, che distacca una parte dell'umano e lo fa disumano, perché risecchito, inaridito, strappato dal terreno vitale, nel disprezzo dello straniero e del diverso, nell'inimicizia.
Il senso di cosiddetta dignità, come identità chiusa, e di cosiddetto onore come sovrastima di sé, sono sindromi antisociali, sono antiumanesimo, come il capitalismo che riduce l'umano all'avidità.
Fukuyama forse coglie che il denaro non basta, che cioè il problema è etico, è più intimo all'uomo. Ma subito c'è da decidere: scelgo me-per-me, senza o contro te? Oppure scelgo me-con-te, dove "te" è ogni altro, e per primo il bisognoso?
Cerchiamo identità proprio perché siamo smarriti. Il denaro – oltre che monumento dell'ingiustizia mondiale - non basta per esere umani. Ma allora, farò di me, di questo parziale "noi" – prima, o contro, o senza te né gli altri - il vero valore (dignità, onore, ...)? Oppure saprò vedere che il valore, la dignità, è comune ad ogni umano, nella diversità di ogni umano?
Il senso della dignità può essere eccitato, acuito, esasperato in quanto ristretto ad un settore dell'umanità – popolo, etnia, civiltà, lingua, cultura, religione. territorio, razza, - e così diventa superbia populista, fino al razzismo, eccitata e usata politicamente dal potere sfruttatore. Il quale una volta sfrutta il lavoro schiavo, una volta i soldati carne da cannone, ora sfrutta l'orgoglio-egoismo nazionale, pur di avere potere: un potere senza scopo di vita umana, a guardar bene, ma ossessione di imperare su altri con copertura "politica" del proprio vuoto.
e. p

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