Bori
commenta Simone Weil: «Ogni
religione è l'unica vera»
di Enrico Peyretti
di Enrico Peyretti
Inviato 25
maggio 2019 a <daniela.deleo@unisalento.it>
direttrice della rivista del Salento “Rivista scientifica Segni e
Comprensione”.
«Ogni
religione è l'unica vera»:
su questa formula
provocatoria di Simone Weil, scrisse un saggio importante Pier Cesare
Bori (1937-2012), l' intraprendente e acuto studioso
dell'universalismo religioso e culturale. Lo pubblicò in Filosofia
e teologia,
8 (1994), pp. 393-403, e in versione ridotta in
Testimonianze,
12 (1994), pp. 45-52. Ne parlò in una conferenza a Torino, nel
gennaio di quell'anno, della quale resi conto in Rocca,
15 febbraio 1994. Il saggio di Bori esce ora nuovamente, insieme allo
scritto di Simone Weil, del 1942, Lettera
a un religioso
(Castelvecchi, 2019, purtroppo in una edizione spoglia, priva di ogni
presentazione sulla filosofa francese e su Bori, e con alcuni errori
di stampa, alle pp. 47, 57, 82, 84, 87, 90).
La
formula è scelta da Bori come insegna di quell'universalismo
che, per Simone Weil, è un imperativo del tempo presente. Per Bori,
la Lettera
a un religioso
permette
anche di vedere quale sia il cristianesimo della Weil.
«Ogni
religione è l'unica vera»
si legge in un Quaderno
del 1941, in polemica contro
l'«ortodossia
totalitaria della Chiesa»,
che è «mancanza
di fede»,
scrive la Weil. «Ogni
religione è l'unica vera, nel senso che, nel momento in cui la si
pensa, è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non
vi fosse nient'altro».
Allo stesso modo, ogni
paesaggio, ogni poesia, ogni bellezza è l'unica, è tutta la
bellezza, se vi poniamo l'attenzione piena. Al contrario, «la
“sintesi“ delle religioni implica una qualità di attenzione
inferiore», dice con riferimento a quegli esperimenti, che vanno
dalla gnosi antica, al Rinascimento, fino a Tolstoj. Nell'attenzione
l'oggetto diventa unico. Una cosa perfettamente bella, è l'unica
bellezza. Ogni oggetto è unico.
Oggi
l'universalità deve essere esplicita, nel linguaggio e nella maniera
di essere (è questa la vocazione culturale di Bori, che ne trova
belle radici anche nella Weil). Il comandamento dell'amore è
anonimo, perciò universale. L'universalismo non è una superlingua.
Cambiare religione è come cambiare lingua per uno scrittore, e può
essere funesto.
Viene
a proposito un confronto con Gandhi, che, contrario ad ogni
proselitismo, ammetteva il cambiamento di religione come approdo
spirituale autonomo, ma esortava ciascuno ad approfondire la propria
fede per giungere alla «vera
Religione», a
quel centro comune di tutte le fedi, che sono tutte vere perché
hanno ognuna un punto di vista sulla verità. Del cristianesimo e
dell’islam Gandhi diceva: «Considero tutt’e due le religioni
ugualmente vere quanto la mia. Ma la mia mi soddisfa pienamente
(...). La mia costante preghiera è pertanto che il cristiano e il
musulmano diventino un migliore cristiano e un migliore musulmano»
(Young
India,
4 settembre 1924).
Per
la Weil, la religione cattolica contiene esplicitamente verità che
altre religioni contengono implicitamente, e queste contengono
esplicitamente verità che nel cristianesimo sono soltanto implicite.
Il cristiano meglio istruito può imparare molto sulle cose divine
anche da altre tradizioni religiose, sebbene la luce interiore possa
fargli percepire tutto attraverso la propria tradizione. E tuttavia,
se le altre religioni sparissero, la perdita sarebbe irreparabile. «I
missionari ne hanno già fatte sparire troppe», scrive la Weil al
religioso cattolico al quale confida le ragioni per cui quando legge
il vangelo sente che quella fede è sua, ma quando legge il
Catechismo del Concilio di Trento le sembra di non avere niente in
comune. Perciò non volle il battesimo, pur sentendosi sulla soglia
della chiesa cattolica.
Simone
Weil
cercava
di aprire il cristianesimo dall'interno attraverso la lettura
simultanea di fonti cristiane e non cristiane. L'indologo Max Müller
(che forse influì su di lei) osservava che per ognuno la religione è
come la lingua materna, né eguale né rivale di altre lingue, ma da
vedere come parte di un vasto insieme. Per vedere bene il
cristianesimo nella storia universale, tra le religioni dell'umanità,
bisogna paragonarlo non solo con il giudaismo ma con le aspirazioni
religiose del mondo intero.
La
Weil vede una identità profonda, essenziale, tra le religioni, al di
sotto della differenza linguistica, come vede Gandhi. Essa si
riferisce a Giovanni 1,9: «...
la luce che viene con
ogni uomo».
Lei intende con
piuttosto che in.
Questo versetto
è fondamentale nella spiritualità dei Quaccheri, a cui Pier Cesare
Bori aderì nel 1993, pur senza rinnegare la chiesa cattolica di
origine.
Quel
versetto evangelico contraddice, per Simone Weil, la teoria cattolica
del battesimo. Il Verbo abita in segreto in ogni persona, battezzata
o no. È luce, da fuori, che disperde la “tenebra”; ed è seme,
innato, che è nesso di continuità tra ordine naturale-creaturale e
ordine della grazia, tra Vecchio e Nuovo Testamento. Il
cristianesimo può impregnare tutto senza essere totalitario solo se
riconosce che la luce naturale è la luce soprannaturale discesa
nella natura; che il profano è ispirato dal sacro; che l'arte, la
bellezza, discende ed è mossa dalla fede. L'illuminazione è
necessaria e sufficiente, anche se non è necessaria
l'identificazione della luce del Verbo nel Gesù storico, attraverso
la Chiesa. Si va al Padre solo mediante il Verbo, ma non è
necessario dare un nome al Verbo, forse neppure a Dio. Per la
salvezza è necessario e sufficiente il Logos, lo Spirito, la Luce,
che nasce con ogni uomo. Riconoscere il Cristo in Gesù è frutto del
Logos stesso, ma non è necessario che accada per ognuno, e comunque
può accadere anche fuori e prima della Chiesa e del cristianesimo.
Troviamo
una grande professione di fede di Simone Weil: «C'è una realtà
fuori del mondo, cioè fuori dello spazio e del tempo, fuori da ogni
portata delle facoltà umane. A questa realtà corrisponde al centro
del cuore dell'uomo questa esigenza di un bene assoluto che vi abita
sempre e che non trova alcun oggetto in questo mondo». È
la
luce del Prologo di Giovanni, luce del Bene (come quella che attira
fuori dalla caverna di Platone). La conoscenza essenziale, la verità
essenziale, riguardo a Dio, è che Dio è il Bene. Tutto il resto è
secondario . «Dio
solo è buono» (Marco 10,18). Il Bene è al di sopra dell'Essere.
Questo
pensiero è talmente contrario alla natura che può sorgere solo in
un'anima divorata dal fuoco dello Spirito Santo (idea già trovata
nei pitagorici, prima di Platone, che non lo apprende da Mosè).
Questa categoria del Bene permette alla Weil di criticare la storia
di Israele e la storia cristiana, e lo stesso testo biblico, dove
c'è la forza, l'idolatria sociale-nazionale di Israele. In Agostino
l'idea del bene dipende da un regime teologico ed ecclesiologico, in
Simone Weil invece giudica la teologia, Israele e la Chiesa.
Il
suo è un cristianesimo critico. La pietra di paragone dell'armonia
tra individui e collettività, tra persone e chiesa, è la situazione
dell'intelligenza: «La funzione propria dell'intelligenza esige una
libertà totale, che implica il diritto di negare tutto, e l'assenza
di ogni forma di predominio». Perciò è necessario un cristianesimo
in cui la verità e la veracità non siano subordinate all'adesione
religiosa, ma siano esse il principio normativo. Non c'è il
cristiano e gli altri, ma solo la verità e l'errore.
Su
cristianesimo e veracità, Bori richiama la famosa opposizione tra
Dostoevskij (preferire Cristo, più della stessa verità) e Tolstoj,
che, nella Risposta
al Sinodo,
scrive: «Chi comincia con l'amare il cristianesimo più della verità
amerà poi la sua setta o chiesa più del cristianesimo e finirà
per amare se stesso più di ogni altra cosa». Simone Weil denuncia
un «totalitarismo della fede» per cui «l'intelligenza deve essere
imbavagliata». I mistici accettano l'insegnamento della Chiesa non
come verità, ma come un velo dietro cui si trova la verità. Cioè
intendono i dogmi non come teoremi ma come metafore. Ci sarebbe una
religione dei mistici e l'altra religione. Le tendenze mistiche,
razionalistiche, critiche, attorno al cristianesimo, coprono un'area
molto vasta (tipico Spinoza). Bori osserva: «Forse è qui la casa
spirituale di Simone Weil, e forse qui occorrerebbe ritornare ad
imparare».
Quale
universalismo dovrà impregnare il nostro linguaggio e il nostro modo
d'essere? Non un universalismo di una sola verità, non di chi non ha
radici e passione di verità; ma quello di chi aderisce alla propria
tradizione, alla luce che ne trae, mentre riconosce la presenza della
stessa luce in altre tradizioni.
Conclude
Bori dicendo che Simone Weil si allinea ad altri mistici che hanno
trasceso dall'interno il proprio limite culturale. Per esempio
Al-Hallaj: «Le religioni sono molti rami di un'unica fonte. Non
pretendere dunque dall'uomo che ne professi una, ché così si
allontanerebbe dalla fonte sicura». E l'induista Kabir Das : i nomi
del Signore sono tutti verità; Egli attira tutti i diversamente
devoti, che non osano avventurarsi fuori dal tempio e dalla moschea;
Egli non dimora nel tempio né nella moschea: «Egli è presente in
ogni cosa e in essi stessi».
Enrico
Peyretti
«»«»«»«»«»
Nessun commento:
Posta un commento