Dissacrare i confini, costruire contatti
Seminario
“I confini della disobbedienza”, 6 maggio 2019, Polo del
Novecento, Torino
Promosso
dall'Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini e dal Centro Studi
Sereno Regis
Intervento
di Enrico Peyretti: “Dissacrare i confini, costruire contatti”
Intendo
il tema datomi come interrogazione su quanto obbedire e quanto
disobbedire ai confini. Quindi: "dissacrare" i confini , e
però valorizzarli come limite e come punti di incontro: da con-fini
a con-tatti (territoriali, culturali, personali)
Riflettendo
sui confini, vediamo: 1) limiti del potere 2) confini sul territorio
3) confini tra noi persone 4) confini dentro di noi persone
1
– I confini del potere
ll
confine più importante è quello posto al potere: nessun potere
legittimo è illimitato; nessuno ha tutto il potere sugli altri; il
potere esercitato senza limiti è prepotenza, offesa, violenza. Il
potere, di fatto, tende ad espandersi, a sopraffare: il primo
problema relativo al potere, nella vita politica, è dargli dei
limiti chiari.
Lo
stato costituzionale di diritto è tale perché nessun potere è
assoluto, nemmeno il potere del popolo: art. 1 Cost. “La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione”.
La
democrazia è tale non solo perché il potere è del popolo, ma
perché il popolo non può fare quello tutto quello che vuole: non
può opprimere le minoranze, non può condannare a morte, né a pene
che siano “trattamenti
contrari al senso di umanità” (art. 27 Cost.)
Sovrano
vuol dire “superiorem non recognoscens”: ma nessuno è al di
sopra di tutto, nemmeno il popolo. Populismo e sovranismo sono la
pretesa di opprimere altri (all'interno o all'esterno) perché ogni
potere senza regole e limiti è ingiusto.
Nemmeno
il potere della maggioranza è assoluto: sarebbe “dittatura della
maggioranza” (Tocqueville). La democrazia non consiste nel dare
tutto alla maggioranza, ma nel mantenere la libertà e le possibilità
delle minoranze. La democrazia non è tanto “comanda la
maggioranza”, quanto “la maggioranza non stracomanda sulle
minoranze”.
La
democrazia è un sistema intelligente, perché tutela e coltiva
sempre le alternative, dal momento che niente, neppure la migliore
giustizia, è definitiva e completa. La giustizia è più della
legge, perché è l'obiettivo e il limite della legge. La giustizia
non è individuata sempre dalla maggioranza, ma dal lavoro continuo,
ininterrotto, illimitato, della ragione e della coscienza, nel
dialogo umano universale, libero, critico, sperimentale, correttivo,
amante dell'umanità.
L'unica
cosa al mondo che non ha limiti e confini è questa ricerca e
autocorrezione continua. Il cammino verso la giustizia, per vederla e
praticarla, è il cammino umano infinito. È la dimensione infinita
della finitezza umana. Quindi la nostra alta dignità.
Nessuno
che ha una funzione di potere può disobbedire ai confini del potere.
Chi ha una funzione di potere deve obbedire ai confini del potere.
2
– Confini sul territorio
Erano
dichiarati “sacri” i confini della Patria, perciò ad essi si
sacrificavano vite umane, per difenderli, o per allargarli con la
conquista. Ritornano falsamente sacri, ora che li si difende contro
profughi e migranti. Mentre i profughi hanno bisogno di noi, noi
abbiamo bisogno dei migranti.
È
venuta l'ora, nel mondo unificato materialmente, che i confini siano
alleggeriti, siano dissacrati e naturalizzati, perché viene il tempo
della vicinanza e della convivenza. È una malvagia politica quella
che indurisce i confini, li rende spinosi e taglienti, cementificati,
e chiude i porti – queste braccia aperte, che sono sempre stati e
restano sacri per natura, come le vite che vi cercano rifugio; queste
aperture da qui ad ogni orizzonte – negandovi l'approdo a chi ha
bisogno: crimine di lesa umanità.
È
difficile dire quanto questa provincializzazione e disumanizzazione
del potere, e la sua falsità, superi le violenze politiche della
storia passata. Importante, davanti a una tale politica, è soffrire
e reagire: soffrire com-passione per gli esclusi, reagire con
in-sofferenza e in-dignazione verso gli escludenti, e con la loro
condanna politica.
Oggi,
una reazione sana compare, comincia la resistenza Si moltiplicano le
analisi sulla manovra cinica che ha gonfiato una falsa paura negli
strati deboli e impoveriti, contro i più poveri. Ma più importanti
sono le prassi civili di accoglienza, di apertura mentale e cordiale
alla nuova inevitabile positiva vicinanza e convivenza dei popoli.
La
vicinanza è accresciuta, per necessità, dalle tirannie e dalle
guerre che scacciano i poveri dalle loro case e terre, dal degrado
della terra, che affama, e spinge dove si spera di vivere meglio; ma
è dovuta anche – in positivo - alla comunicazione tra i popoli e
al dialogo tra le culture e le forme di vita.
I
confini duri, esaltati, tagliano l'umanità come il machete nel
genocidio in Rwanda. Il confine più duro è il “fronte” di
guerra, dove una parte nega e colpisce l'altra. Ma oggi la guerra non
è più su un confine territoriale, è universalizzata, dal cielo
alla terra, da vicino e da lontano, contro tutta una terra abitata: è
guerra contro i popoli. La distruttività è totale, minacciati siamo
tutti. Il confine di guerra è dovunque, la guerra è nella volontà
di potenza e di rapina, è nei calcoli disumani, nella tecnocrazia
senza scopi umani.
Si
può sperare, si deve sperare attivamente - se riusciremo ad evitare
la catastrofe nucleare e ambientale, e a spegnere gli spiriti di odio
- che l'umanità proceda all'unità nella diversità,
all'universalismo diversificato, alla pluralità delle vie verso il
compimento umano.
Ma
ora, nell'immediato, bisogna disobbedire alle politiche crudeli,
soprattutto liberare i poveri dall'inganno del pifferaio che li
scatena contro altri poveri, per usarli come servi del suo potere.
Dare al popolo un nemico, quello che sta di là dal fiume, serve ad
adescarne gli istinti più rozzi, ignoranti della nuova realtà. Il
tema politico è più che mai: quale umanità? Forse, se ci aiutiamo
tutti, riusciremo. La politica è il vivere insieme, quindi è
coscienza di umanità, prima che potere, prima che azione.
Ai
confini induriti, inferociti, bisogna disobbedire, in nome dell'unità
umana: molteplice e dialettica, ma unità. Questo è il prodigio e il
valore della civiltà planetaria: liberamente insieme nella libera
diversità.
3
- Confini tra noi persone
Ecco
un cammino per noi: lo straniero diventa un vicino, il confine si
chiama vicinato. Ogni con-fine è un con-tatto, occasione di
incontro. Il limite mio e il limite tuo com-baciano. Dobbiamo
rispettarci, e possiamo anche toccarci, uscire dalla miseria della
distanza e chiusura.
Questo
vale anche per i nostri corpi, che si toccano felicemente quando
riconoscono il limite e il rispetto, l'alterità. L'alterità ci dà
consistenza più che estraneità. La violenza fisica, criminale,
sessuale, è disobbedienza al confine-diritto personale, che è
sacro, in quanto superiore ad ogni volontà di potenza.
Lo
scontro è la negazione dell'incontro. Il nemico mi nega nel mio
essere, mi annulla, come io annullo lui. Fare fronti di inimicizia,
fare nemico il diverso, chiamare “invasione” l'incontro, è
tagliare l'umanità: non rompe solo la comunità dei popoli, ma la
nostra personale umanità. La quale si nutre alla fonte dell'umanità
universale, madre di tutti noi, fisicamente, culturalmente,
spiritualmente.
I
confini personali distinguono ma con-giungono, con-giungono ma non
con-fondono. Io devo limitarmi perché tu viva, per non invaderti,
“occuparti”; e così tu devi limitarti per non “prendermi”,
occuparmi, conquistarmi. Libertà e solidarietà sono una
congiunzione articolata, come la “insocievole socievolezza” vista
da Kant, come le articolazioni del nostro corpo, capacità di
differente azione. Né l'una né l'altra sono tutto. Sono tutto
insieme.
Io
vivo grazie a te, se mi riconosci e ti fermi davanti a me. Tu vivi
grazie a me se ti riconosco e mi fermo davanti a te. Mi fermo, ti
fermi, dove ci incontriamo, dove facciamo un insieme di liberi non
solitari, nel dialogo e nella collaborazione.
Ci
dice Emmanuel Levinas: si ha coscienza di sé solo nell'incontro con
l'altro. Il volto dell'altro è specchio del mio. Non vedo e non ho
coscienza del mio volto, del mio essere, se non vedendo e
riconoscendo il tuo. Un esempio banale, un po' comico: io vedo nel
volto del mio coetaneo il mio invecchiare, che non vedo in me stesso.
Tra
me e te c'è un confine, che rispetto, che non valico, ma ecco che io
mi ritrovo anche di là dal confine, riconoscendomi in te. E
viceversa. Differenti, abbiamo in comune l'essere umani. Su questo si
basa l'universale “regola d'oro”, il principio etico presente, in
formulazioni assai simili, in tutte le civiltà, le morali, le
religioni: “Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu. Non
fare agli altri quel che non vorresti che fosse fatto a te”. La
ragione di questo respiro per vivere, è l'uguaglianza di valore tra
tutti noi, attraverso tutte le possibili differenze; è l'unità
nell'alterità.
Sul
tema dei confini e contatti tra le culture, tra le spiritualità
umane, ci limitiamo ora a segnalare quella linea di pensiero
universalista-pluralista, fondamento della pace plurale, espressa da
alcune maggiori voci, attraverso tempi e luoghi, nelle culture
greco-romana, cinese, indiana, biblica, cristiana, islamica,
rinascimentale, riformata-evangelica, moderna pluralista, gandhiana,
ecumenica (un autore che ha ricapitolato e promosso questo pensiero è
Pier Cesare Bori, Per
un percorso etico tra culture,
Carocci 2003; Pluralità
delle vie,
Feltrinelli, 2000; Universalismo
come pluralità delle vie,
Marietti 2004).
I
confini – territoriali, culturali, sociali, interpersonali – sono
indicatori delle ricca colorata varietà umana. Usare i confini come
taglienti e negatori vuol dire offendere l'umanità in ciascuna
persona e in ciascuna forma di civiltà umana.
In
questo cammino di civilizzazione, l'Italia può vantare il grande
art. 3 della Costituzione, che afferma l'uguale dignità delle
persone, senza alcuna discriminazione, senza tagli che ammettano
alcuni ed escludano altri. Se
c'è qualcosa di sacro (senza uso di questo termine) nella nostra
Costituzione, è questo art. 3, così forte che impegna la
Repubblica, cioè la politica, cioè obbliga ogni governo, a
«rimuovere gli ostacoli» che di fatto limitano questo valore,
perciò sono indebiti confini dell'eguaglianza: «Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», con
esclusione di ogni discriminazione. Le discriminazioni escluse sono
tali che qui si deve intendere “cittadini” non in senso
nazionale, di sangue, né burocratico, di registrati allo stato
civile, come non è da intendere i cittadini uomini e non donne, ma
nel semplice significato di esseri umani.
Tanto
è vero che, poiché troviamo tra le distinzioni escluse
costituzionalmente anche la razza, anche le condizioni personali e
sociali, dobbiamo giudicare che una politica governativa, come
l'attuale, che riduca a reato la condizione dello straniero non
registrato, che respinga migranti bisognosi di riparo e li sequestri
fuori dai “porti chiusi”, che respinga profughi in paesi che li
maltrattano gravemente, sia una politica che viola profondamente
l'art. 3 della Costituzione, perciò davvero una politica
illegittima, da contrastare, a cui resistere e dkisobbedire, in forma
democratica e nonviolenta, cioè con la forza della
non-collaborazione.
E
ciò, nonostante il consenso popolare contrario al patto
costituzionale. Così come nessun consenso popolare potrebbe
introdurre la pena di morte, esclusa dall'art. 27 Cost. (tolta anche
con la legge 25 ottobre 2007 l'eccezione crudele delle leggi militari
di guerra).
Ecco,
confine - nel senso di limite invalicabile che l'Italia si è dato in
Costituzione, e che non possiamo superare senza violare qualcosa di
veramente sacro - è la discriminazione tra gli esseri umani, perciò
la riduzione dei diritti personali inviolabili degli stranieri.
Davanti a tale violazione la politica deve retrocedere. Superare
questo confine è perdere senso umano. Come la ringhiera del balcone
è il vero salutare confine del mio spazio abitabile, vivibile. Non
mi impedisce: mi protegge. Il divieto costituzionale protegge la
civiltà etico-politica italiana dal precipitare nell'imbarbarimento
neo-fascista e nazional-razzista.
I
limiti delle possibilità pratiche di accoglienza di profughi e
migranti sono comprensibili, ma non è giustificabile, davanti alla
legge fondamentale della Patria, che si riducano volontariamente
quelle possibilità, mancando a doveri di solidarietà nella Patria
umana, che costituiscono la civiltà di un popolo.
Ai
confini escludenti e respingenti bisogna disobbedire. Ai confini
punti d'incontro bisogna collaborare.
4
– Confini dentro di noi
Ma
il tema non è solo politico. C'è un confine anche dentro di noi.
“Io
stesso sono altro da me, ospite, migrante, estraneo a me stesso”
(Carlo Bolpin “Io straniero a me stesso”, rivista Esodo n.1,
2019). Qualcuno mi avverte: guardiamo anche il Salvini che è in noi.
Co-scienza, ri-flessione, de-cisione: sono atti di ritorno su noi
stessi, atti di controllo e di scelta sul confine tra ciò che
vogliamo e ciò che non vogliamo essere, tra ciò che dobbiamo o non
dobbiamo essere; sono atti di controllo sul vero o il falso di noi
stessi, sulla differenza tra umano e disumano, tra giusto e ingiusto
in noi, perché la decisione intima personale si rifletta anche,
mediante la collaborazione morale, nell'ethos comune e nella
politica.
Se
non chiariamo il confine personale interno, non abbiamo accesso alla
coscienza umana universale. Allora si ricorre a identitarismi
parziali e contrapposti, a falsi universali, per esempio, all'idea
del suprematismo razziale bianco, oggi rappresentata da uomini di
potere tanto quanto dai terroristi. Dal barbaro nazista Blut
und Boden
(«sangue e suolo», «sangue e terra») al rozzo “America first”,
“Prima gli italiani”, “Prima l'Italia” c'è la continuità
di una miserabile riduzione umana, che tutti ci offende.
La
coscienza umana universale, assimilata nelle coscienze personali, è
la più profonda garanzia del rispetto anche dei propri diritti e
dignità, dei diritti e della dignità del proprio popolo, cultura,
civiltà. Io mi sento ben riconosciuto e rispettato nella mia dignità
e diritti, se avverto che tu hai coscienza della dignità di ogni
altra persona umana, prima di me. Così, la tua garanzia del mio
rispetto per te, ben prima che nella legge, sta nella mia coscienza
del valore di ogni persona.
Oggi
- nell'incontro dei popoli, nel comune planetario rischio dei danni
ambientali irreparabili, e delle guerre alimentate dai suprematismi
e dal libero criminale mercato di armi - l'opera politica e civile
più necessaria è abbassare i confini escludenti, gettare ponti di
conoscenza, di riconoscimento e di accoglienza solidale, tra le
culture, tra le persone, perché il destino umano è sempre più
comune, inseparabile. A questo argine universale alla
disumanizzazione, è nostro stringente dovere, e anche sana
convenienza, obbedire attivamente.
Enrico
Peyretti, 6 maggio 2019
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