martedì 12 marzo 2024

 

24 03 11 Come ricordo Michele Dosio, prete della Comunità di via Germanasca


Di Michele, ora mi piace ricordare, con gratitudine, come presiedeva la nostra assemblea eucaristica. Faceva sentire bene che, come il Concilio comprese e insegnò a tutte le chiese, la messa non è celebrata dal prete solo, ma da tutti i fedeli presenti, in base al sacerdozio comune a tutti i battezzati, che è, insieme al sacerdozio dei ministri, «partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo» (Costituzione sulla Chiesa, n. 10). Perciò, dice il Concilio, nell'eucarestia «.. i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori, ma partecipino attivamente e consapevolmente... rendano grazie a Dio offrendo l'ostia immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma insieme a lui imparino ad offrire se stessi... in modo che Dio sia finalmente tutto in tutti» (Costituzione sulla Liturgia, n. 48).

Michele teneva molto a che questa unità si realizzasse, a cominciare dal momento in cui si arrivava, alla spicciolata, ci si salutava, qualche notizia su come sta uno come sta l'altro, le piccole novità. L'atto di riunirsi per celebrare l'eucarestia, sentivamo che è già un riunirsi con il Signore, non solo tra noi: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», ha promesso Gesù (Matteo 18,20). Con Carlo e Michele avevamo sentito da sempre, senza tante parole, che questo è già un sacramento, cioè un'azione tutta umana nella quale c'è anche un'azione tutta del Signore, perché si veniva non solo per noi, ma per incontrare Lui, che ha promesso la sua presenza.

Così avveniva anche dopo messa. Restare a fare due parole, a organizzare qualcosa, è sempre stata come una continuazione della riunione nella messa, non qualcosa di estraneo.

All'inizio della messa, Michele diceva sempre qualche parola sul tempo liturgico, sulla stagione dell'anno, sugli avvenimenti comuni o pubblici più importanti, su eventuali momenti speciali della Comunità: era un modo semplice per collegare il rito alle giornate della vita comune, perché il rito santo è un momento speciale, ma non isolato né staccato da tutti gli altri giorni della vita, anzi è fermento e spirito da vivere dentro gli altri giorni.

Ricordiamo che, o lui, o qualcuno per lui, assegnava le letture della sacra Scrittura ad uno o una di noi presenti. Avevamo imparato, e deciso con Michele, di non dire "Parola di Dio" alla fine delle letture del primo o del secondo Testamento, perché sappiamo che in esse c'è anche l'ispirazione divina, ma detta in parole umane, anche a volte molto umane, e spetta alla lettura attenta, studiata, interpretata, distinguere ciò che resta per sempre ispirato da Dio e ciò che è espressione storica, di quel tempo e luogo, di quel linguaggio e di quella cultura. Ci sono aspetti che sono come il veicolo umano che porta il messaggio di Dio. Michele aveva cura di spiegare questi due aspetti, specialmente quando c'era qualche maggiore difficoltà.

Il vangelo lo leggeva Michele, nel suo ruolo, e faceva omelie semplici, chiare, di cui conservava una traccia negli appunti scritti, che ci ha lasciato e ora a volte ci vengono utili nella liturgia della Parola. A volte ci chiedeva prima, per prepararci un poco, di fare l'omelia dialogata. Allora, lui introduceva e noi potevamo esprimere le riflessioni nostre sul vangelo e le altre letture. Mi pare un modo bello di far partecipare ad assimilare, ognuno col suo impegno, la Parola di Dio per la nostra vita. Oppure, a volte abbiamo invitato anche pastori evangelici, e alcune volte Michele incaricava qualcuno di noi, anche donne, a fare l'omelia.

La messa presieduta da Michele non era diversa da quella di tutte le parrocchie o comunità, ma sentivamo una partecipazione di tutti, che non avviene sempre. Ci sono delle messe che direi semplicemente "lette" dal messale, e altre "dette" dal prete, insieme o in dialogo con tutti i partecipanti, quindi più vive e coinvolgenti anche spiritualmente, interiormente. Rispetto al rito predefinito, col tempo, nella nostra esperienza di Comunità, sono intervenute alcune piccole modifiche di parole, perché il mistero della fede trovasse la giusta espressione nel nostro linguaggio e fosse comprensibile nella mentalità attuale. Per esempio: piuttosto che "onnipotente" si diceva Dio "misericordioso". La parola "onnipotente" è molto rara nel Nuovo Testamento, si trova una decina di volte, quasi solo nell'Apocalisse. Dio è onnipotente nell'amore, non in tutto ciò che noi vorremmo avere da lui. Gesù insiste sulla misericordia del Padre, che noi dobbiamo imitare tra noi.

Nel racconto della Cena del Signore, cuore della celebrazione eucaristica, il testo italiano (e solo quello italiano), dice: «... questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Nelle altre lingue europee, il testo liturgico ufficiale non porta le parole " offerto in sacrificio". Ma soprattutto queste parole non sono nei tre vangeli sinottici, Matteo, Marco, Luca, né in 1 Corinti 11, l'unico altro racconto della Cena nel Nuovo Testamento. Da tempo Michele diceva: «... questo è il mio corpo donato per voi». La teoria sacrificale della morte di Gesù, infatti, è una dottrina teologica non unica per la fede cristiana. Teologi di valore la mettono in discussione (p. es. Giovanni Ferretti, tra altri, in Spiritualità cristiana nel mondo moderno, Cittadella 2016, dedica molta attenzione a discutere quella teoria, anche nel sottotitolo in copertina: Per un superamento della mentalità sacrificale). Abbiamo sempre riconosciuto a Michele questo aiuto a comprendere meglio il mistero del dono di sé, della propria vita, che Gesù ha fatto senza opporsi alla violenza religiosa e politica. E' stato il suo amore così grande, totale, che ha vinto tutto il male del mondo, ed è per questo che possiamo impegnarci e sperare che la storia umana sia guidata al bene, e che il male sia progressivamente vinto, come è vinto nella risurrezione di Gesù dalla morte ingiusta.

Un paio di volte ho proposto nel consiglio di Comunità di sostituire l'altare, che evoca l'ara dei sacrifici, oppure un palco o una cattedra, con un grande tavolo-mensa a cui stare seduti, in cerchi concentrici, tutti i partecipanti all'eucarestia, come fu la Cena ebraica di Gesù. La quale comprendeva non solo gli apostoli, ma donne e bambini (come insiste Bettazzi, nell'ultimo libro, A tu per tu con Dio, 2023, pp. 74-75). Michele rinviò l'idea ma non fu contrario. Certo, non nelle grandi chiese-teatro, ma nei locali delle piccole comunità come la nostra, è possibile la fraterna Cena eucaristica "in memoria" di Gesù presente, come lui ha chiesto.

Enrico

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