Pericolo di guerra. Che fare? | Enrico Peyretti
L’opinione pubblica internazionale
assiste impotente allo scivolamento verso scenari di guerra aperta, in
assenza di una mobilitazione che ottenga per tempo dai governi saggi
passi indietro. Non c’è solo il terrorismo nella “guerra mondiale a
pezzi” da tempo in corso, che può condurre a esiti incontrollabili.
Sentiamo questo allarme, che sollecita riflessioni, dibattiti, impegno.
Ma è davvero immaginabile un confronto militare diretto tra Occidente e
Russia? Cosa si può fare?
Non porta molto avanti
l’analisi delle diverse responsabilità nella storia, sia prima sia dopo
la fine della Guerra Fredda, nel 1989, seguita da nuove guerre di
interessi, mascherate da “guerre di civiltà”, come confessava il Nuovo
modello di difesa italiano del 1991. Non serve a molto accusare di più
l’influenza o dominio geopolitico occidentale, o di più l’espansionismo
rivendicativo della Russia umiliata (trattamento sempre pericoloso).
Serve che i popoli ottengano che tutti abbassino le minacce e le
contro-minacce.
Che fare? La grande
mobilitazione mondiale del 15 gennaio 2003 e la campagna popolare delle
bandiere non impedì la 2a guerra all’Iraq. Allora, siamo impotenti?
Mail-bombing sui governi? Preghiere in piazza delle varie religioni?
Digiuni pubblici, non come ricatti, ma assunzione del dolore su di sé
per toccare le coscienze? Messaggi al “nemico” per indurlo al dialogo?
Elezione di un “ministro della pace”, come chiedevano Aldo Capitini e,
in Parlamento, Tullio Vinay (cfr. il mio La politica è pace,
Ed. Cittadella 1998, pp. 46-49)? Una dichiarazione-richiesta di pace
concordata al “nemico” dell’Occidente, Putin? Una uguale
dichiarazione-richiesta all’alleato Usa?
Sappiamo già che nessun segno o manifestazione è visibile se non ha forza sui media! Inchinarsi alle regole dei media?
L’azione più profonda che
può avvenire è l’evoluzione mentale-morale (ciascuno in se stesso perché
cresca in tutti) dalla ideologia della fatalità della guerra alla
capacità di trasformazione-soluzione nonviolenta dei conflitti. Non è
utopia disperata perché la cultura corrente ha ancora da scoprire la
storia del “sangue risparmiato” (Anna Bravo), occultata dal fracasso
delle guerre e da chi le celebra. Ci sono storie consistenti di lotte
nonviolente, mezzi giusti per la giustizia, poco conosciute e
considerate.
In questo impegno sappiamo
bene che la giustizia non è affermata nella storia se non come frammenti
profetici, apparizioni e non installazioni vincenti, ma sempre come
tensione-aspirazione insopprimibile, nerbo e orizzonte della storia pur
oscillante, ubriacata da qualche follia.
Ma oltre i tempi profondi e
lunghi, occorre agire e proporre decisioni sui tempi brevi, perché
troppe vite soffrono e muoiono, offese e vilipese, la storia umana è
deviata dal suo senso, l’umanità intera è minacciata. Perché possa
avvenire questa evoluzione umana bisogna rimuovere la causa che blocca
il riconoscimento reciproco e divide l’umanità: la causa è la volontà di
potenza, il capitalizzare ricchezza anche a danno altrui, la conquista
di ricchezze sottraendole ad altri, l’influenza sulle terre ricche di
risorse sottratte a chi le abita, e tutto ciò nella sottoconsiderazione
dell’umanità altrui. Francesco vescovo di Roma, sull’aereo per la
Polonia, il 27 luglio 2016, ha detto: «C’è guerra di interessi, c’è
guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra
per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare:
“Sta parlando di guerra di religione”. No. Tutte le religioni vogliamo
la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?». È un’accusa al
capitalismo liberista, della libertà senza giustizia.
Il problema della guerra –
che è solo la più vistosa e ripugnante delle tre forme della violenza
(diretta, strutturale, culturale) – è problema antropologico: quale
relazione tra gli umani? Soci (socialismo non imposto) o rivali
(competizionismo sfrenato)?
Ed è perciò problema
politico: della “polis”, della città, dei “molti insieme”, del “mio” che
non è contro il “tuo” perché sono entrambi il “nostro”. L’obbligo
reciproco è originario (Simone Weil), prima del contratto sociale,
perciò prima di rapporti politici imposti dal più forte. Nella politica
umana la libertà è indivisibile: io non sono libero se non lo sei anche
tu, e anche lui. Ed è la giustizia – assicurare ad ognuno la sua
dignità, la possibilità di vita umana – che regola la libertà, che rende
liberi. Non è la libertà di “libere volpi fra libere galline”, cioè il
“lasciar fare” tra forti e deboli, che possa produrre giustizia, e
dunque pace giusta.
Il problema della pace nei
rapporti politici è passare dal “potere su” al “potere di”, riconosciuto
a tutti. Trasformare gli uomini da rivali a soci, è opera immane di
maestri, di cultura, etica, mistica, spiritualità. È opera di tutto ciò,
e anche della analisi critica dei fatti e dei movimenti sociali, purché
vedano le dimensioni profonde della evoluzione che deve salvare
l’umanità dall’autodistruzione. In questa linea propositiva, uno scritto di Nanni Salio
del novembre 2015, quasi suo testamento morale-politico, presenta le
alternative nonviolente ai «due terrorismi», quello di stato, quello
ribelle, con proposte per il medio periodo e per il medio-lungo.
Salio conclude: «Tutte
queste misure possono essere ampliate e perfezionate ulteriormente. Per
far ciò “non basta la vita” di una singola persona, per quanto geniale,
creativa, amorevole come quella dei grandi maestri che ci hanno
preceduto, da Gandhi a Martin Luther King, da Danilo Dolci ad Aldo
Capitini, da Buddha a Gesu’. E’ un compito collettivo dell’intera
umanità, possibile, doveroso, entusiasmante, per mettere fine alla
violenza nella storia e far compiere un salto evolutivo alla natura
umana.»
Commenti (2)
Da aggiungere alle altre citazioni : Da “UTOPIA” lib. II° Thomas MORE
(1478-1535) (Trovata in “L’Africa dentro di me” di don Piero Gallo)
“Quando considero tutti questi nostri Stati oggi vigenti e ci rimugino sopra, la sola cosa – Iddio mi guardi – che mi viene in mente è che si tratti di una conventicola di ricchi, che sotto il nome e pretesto di stato, pensano a farsi gli affari loro; così almanaccano ed escogitano tutti i modi e le sottigliezze che consentono anzitutto, di conservare, senza rischio di perderlo, tutto ciò che si sono accaparrati con mezzi disonesti, poi di assicurarsi col minimo esborso la possibilità di abusare del lavoro e delle fatiche di tutti i poveri.
Queste macchinazioni, una volta che i ricchi hanno stabilito di metterle in atto con pubblico decreto (perciò anche a nome dei poveri) assumono forza di leggi.”
Mi pare di una modernità e attualità sconcertante!!
“Quando considero tutti questi nostri Stati oggi vigenti e ci rimugino sopra, la sola cosa – Iddio mi guardi – che mi viene in mente è che si tratti di una conventicola di ricchi, che sotto il nome e pretesto di stato, pensano a farsi gli affari loro; così almanaccano ed escogitano tutti i modi e le sottigliezze che consentono anzitutto, di conservare, senza rischio di perderlo, tutto ciò che si sono accaparrati con mezzi disonesti, poi di assicurarsi col minimo esborso la possibilità di abusare del lavoro e delle fatiche di tutti i poveri.
Queste macchinazioni, una volta che i ricchi hanno stabilito di metterle in atto con pubblico decreto (perciò anche a nome dei poveri) assumono forza di leggi.”
Mi pare di una modernità e attualità sconcertante!!
aggiungo ancora questa: da Lao Tse "il suo crdo antistorico" , p72
Più armi affilate ci saranno
più ottenebrata sarà tutta la terra.
Più abili artigiani ci sono
più saranno inventati pericolosi congegni.
Più leggi saranno promulgate
più ladri e banditi ci saranno.
Tendi l'arco al massimo
e desidererai di esserti fermato in tempo.
Più armi affilate ci saranno
più ottenebrata sarà tutta la terra.
Più abili artigiani ci sono
più saranno inventati pericolosi congegni.
Più leggi saranno promulgate
più ladri e banditi ci saranno.
Tendi l'arco al massimo
e desidererai di esserti fermato in tempo.
Nessun commento:
Posta un commento