Erasmo,
umanesimo e cristianesimo della pace
Sintesi
del saggio di
Erasmo,
Dulce
bellum inexpertis (1515).
«La
guerra piace a chi non la conosce»
di
Enrico Peyretti, 12 aprile 2018
(pubblicato su Tempi di fraternità, www.tempidifraternita.it,
a partire dal n. 6, giugno-luglio 2018)
(pubblicato su Tempi di fraternità, www.tempidifraternita.it,
a partire dal n. 6, giugno-luglio 2018)
Nella
grande controversia del '500, sulla Riforma religiosa, influente
sulla politica, Erasmo è stato accusato di viltà. Afferma Stefan
Zweig che in realtà Erasmo «è
rimasto più fedele all'umanità intera che non ad un singolo clan»
(Stefan Zweig, Erasmo
da Rotterdam,
Bompiani 2016 (1934), p. 18)
Anche
Hans Küng
ha accusato Erasmo di «troppo poco coraggio paolino», e di «fuga»
(in Teologia
in cammino,
Mondadori 1987, pp. 21-55, spec. 48). Ernesto Balducci, in una
lettera del 21 gennaio 1989, mi scriveva: «
Sono convinto, diversamente da Küng, che Erasmo, tra Roma e Lutero,
aveva visto giusto: la questione dirimente, che avrebbe portato con
sé anche la riforma della chiesa, era quella della pace. Non è
forse oggi la vera questione ecumenica?».
Oggi
è dunque da riaccendere l'attenzione e l'interesse per Erasmo come
un padre della migliore modernità. «In
Erasmo la lotta per la pace, il bene della pace, è davvero il
pensiero dominante, il punto di raccordo e la radice di tutto il suo
umanesimo cristiano, del suo cristianesimo evangelico»
(Eugenio Garin, Erasmo,
Edizioni Cultura della Pace 1988, p. 7)
Tra
le opere di Erasmo per la pace il Dulce
Bellum Inexpertis
mi sembra quella di maggiore interesse per noi oggi. È uno degli
Adagia,
sviluppato in un trattatello, e contiene una analisi
dell'antropologia e della politica di guerra, denuncia l'ignoranza
della realtà da parte di chi promuove le guerre, porta argomenti non
solo morali, ma anche di convenienza contro le guerre, con molto
realismo, afferma la piena incompatibilità della guerra col Vangelo,
cerca e propone un superamento non solo morale, ma anche nel sistema
politico internazionale, della pratica della guerra legata ai poteri
politici e alle culture.
Perciò
scelgo, come mio contributo alla memoria comune, di ripercorrere in
sintesi questo scritto del 1515, quando Erasmo ha 49 anni, come
invito alla lettura diretta.
(Riassumo
il
testo – tra virgolette frasi salienti letterali - da Eugenio Garin,
Erasmo,
Ed. Cultura della Pace, Fiesole 1988, che tiene conto della
traduzione di Silvana Seidel Menchi, con testo latino a fronte, nel
volume da lei curato, con Introduzione
di LXXI pagine, Erasmo da Rotterdam, Adagia.
Sei saggi politici in forma di proverbi,
Einaudi 1980).
OOOO
1. In molte cose
l'inesperienza inganna.
2. Ciò è specialmente vero
per la guerra, oggi trionfante (la fanno anche i cristiani, e preti e
vescovi, e giuristi e teologi soffiano sul fuoco), al punto di
capovolgere il giudizio su di essa, che è cattiva e dannosa.
Primo problema: da dove viene
la guerra? É necessaria un'indagine filosofica.
3. Guardiamo l'immagine
dell'uomo: il corpo è fatto per l'amicizia, non per la guerra. La
natura lo ha fatto nudo, inerme, tenero. Nasce bisognoso, debitore
alla benevolenza altrui. È nato alla gentilezza e all'amore, ha
braccia per abbracciare, e il gusto del bacio in cui le anime si
incontrano, ha il riso e le lacrime. Solo all'uomo la natura ha dato
il linguaggio e la ragione, per l'amicizia, e perché nulla si faccia
per forza. Nulla più necessario dell'amicizia e nulla più dolce. La
passione del sapere unisce più del sangue. Nell'uomo c'è una
scintilla della mente divina, è immagine di Dio, per cui gode del
bene, anche senza premio, perché l'uomo è caro all'uomo, e perfino
gli animali se ne sentono protetti.
Ecco invece l'immagine della
guerra: ha aspetti orribili, causa gli effetti più gravi: il
combattente uccide colui che non l'ha offeso nemmeno con una parola.
Anche i guai minori sono sempre terribili, danni fisici e materiali.
Soprattutto, la guerra causa rovina morale, corrompe la vita. Una
guerra genera altra guerra.
4. L'origine della parola
bellum
dice che è azione di uomini-belve, per di più fabbricanti di
strumenti omicidi. Le belve combattono per pochi precisi motivi, e
non si fanno guerra intraspecifica ed estesa, come facciamo noi. La
Natura osserva stupita: perché l'uomo è degenerato in belva?
5. A tale straordinaria follia
dell'uccidersi l'un l'altro si deve esser giunti per gradi. I mali si
insinuano con la maschera del bene. Dapprima la difesa da bestie
feroci, si dà gloria a chi meglio le uccide, anche oltre il
necessario, così ci si abitua all'uccidere anche animali miti per
mangiarli, e infine, nell'ira, anche a colpire uomini, con poca
fatica. Eliminare l'avversario sembra giustizia, uccidere un tiranno
dà gloria. Avvengono scontri fra gruppi, cresce la furia, si
sviluppano le armi. La guerra dà gloria. Eppure c'erano anche
limiti, regole, poi superate, per lucro più che per la gloria. Dal
sangue umano sparso nascono gli imperi. I potenti ottusi e disumani
non vogliono capire.
6. La guerra è dilagata,
tutti contro tutti, e persino il cristiano contro il cristiano.
Nessuno se ne meraviglia, nessuno condanna. C'è chi applaude, e
chiama santo ciò che è diabolico, e benedice la guerra - «Dio
combatterà per te» -
e ne fa un sacramento.
Falsificano i profeti, la preghiera, la croce. Abbiamo sentito da
monaci, teologi, vescovi, prediche bellicose. Si scontrano eserciti
con l'insegna della croce, che da sola ammonisce. Si fa Cristo
spettatore e autore dell'empia reciproca strage. La guerra è il
regno del demonio, un qualsiasi postribolo sarebbe meglio, e noi vi
trasciniamo Cristo. Per cause lievi, ci facciamo più feroci dei
pagani e dei barbari. Per di più, sono istigatori, esortatori e
complici i rappresentanti di quel pontefice1
che dovrebbe pacificare e unire tutti coloro (come i vescovi) che
salutano il popolo con l'augurio di pace: «Pax
vobis».
7. Dopo il confronto tra
l'uomo e la guerra, paragoniamo ora la guerra con la pace: la cosa
più scellerata e miserabile con la più felice e la migliore. La
pace è l'amicizia reciproca di molti. Se l'amicizia tra due persone
è tanto dolce e gradevole, quanto sarà felice l'amicizia tra regno
e regno, tra popolo e popolo! I beni, quanto più sono diffusi, tanto
più vantaggio recano. «Con
la concordia le piccole cose crescono, con la discordia anche le
grandi vanno in malora». La pace è madre e nutrice di tutte le cose
buone. Ma appena esplode la crudele guerra, eterno Dio, quale immenso
oceano di malanni sommerge tutto! È tanto più facile nuocere che
fare del bene! «Tacciono le leggi», si ride della gentilezza dei
costumi, ci si fa gioco della religione. La gioventù si corrompe, i
vecchi imprecano contro una vita troppo lunga. Nessun conto si fa più
degli studi liberali.
«Le
guerre, forse, si potrebbero sopportare, se ci rendessero solo
disgraziati, e non anche malvagi e perfidi,2
e se la pace ci facesse solo più felici, e non anche migliori.
Empio, perciò, è chiunque provoca la guerra». Tutti i mali
naturali che possono capitarci, e che non possiamo evitare, ci
rendono solo disgraziati, ma non malvagi. La guerra è il male più
atroce e pernicioso, che da solo tutti li comprende e li supera.
Mentre i benefici della pace si diffondono per moltissimi, se c'è un
bene dalla guerra ne godono pochi e per di più indegni. La salvezza
e ricchezza dell'uno è morte e miseria dell'altro. Non so se mai una
guerra sia finita così bene da non far pentire il vincitore, se è
saggio. Possiamo ritenere sano di mente chi, potendo ottenere la pace
con poca spesa, si procura la guerra a prezzo di tanti mali? Il danno
morale della guerra è più grave di quello fisico3
8. Già l'inizio di una guerra
è pieno di spese e di danni. Chi può elencare i disagi che «gli
stupidissimi soldati» sopportano al campo (e se li vanno a
cercare!). «Servire i capi, prendersi legnate: non c'è schiavitù
peggiore di quella del soldato». Poi, si va a uccidere crudelmente,
o a essere miseramente uccisi. «Affliggiamo noi stessi con tanti
malanni, per poter affliggere gli altri». Potremmo ottenere la pace
con un decimo delle pene, delle spese, e del sangue che la guerra
richiede. Coi pericoli e il lavoro per abbattere un castello, potevi
costruirne un altro molto più bello, e senza pericoli. È roba da
matti accettare un grande malanno sicuro, quando è ancora incerta la
sorte della guerra 4.
9. Ma se i pagani possono
essere stati travolti da questa follia infernale, come mai noi
cristiani abbiamo impugnato la spada contro cristiani? È peggio di
un fratricidio. I cristiani sono uniti da legami più forti di quelli
naturali. Cristo riconobbe come suo un solo precetto: l'amore. Che
cosa, più della guerra, è contro l'amore? Cristo ai discepoli non
lascia niente altro che la pace. Al Padre chiede soprattutto che essi
siano tutt'uno con lui. In tutta la sua dottrina non trovi altro che
pace, mitezza, le beatitudini proclamate, il disprezzo di ciò per
cui il mondo si batte: la ricchezza, la superbia. Vietò di resistere
al male. Tutta la sua vita fu mansuetudine, e così vinse sul mondo.
Così insegnano anche gli Apostoli. E allora, perché sì gran
tumulto di guerra tra i figli della pace? Cristo è la vite, noi i
tralci; la chiesa è corpo di Cristo capo, e noi le membra: dovremmo
essere immagine in terra della città del cielo. E invece vi si
trovano turpitudini che Cristo condanna, forse peggiori che fra
turchi e saraceni.
10. Come si è insinuata
questa peste nel popolo cristiano? Col pretesto di sconfiggere gli
eretici si insinuò il gusto ambizioso della disputa. Si giunse al
punto di mettere al centro della teologia Aristotele, in modo che la
sua autorità è quasi più santa di quella di Cristo. Distorciamo i
precetti di Cristo, ma non discutiamo gli oracoli aristotelici.
Cercare di combinarli è come mescolare l'acqua col fuoco. Abbiamo
distorto la dottrina evangelica per metterla d'accordo col diritto
romano. Il quale insegna che vim
vi repellere licet,
approva i traffici e l'usura, esalta la guerra giusta, cioè se
dichiarata dal principe, non importa se bambino o idiota. La dottrina
di Cristo è talmente corrotta da dialettici, sofisti, matematici,
filosofi, giuristi, che se arriviamo a consultare i libri sacri,
imbevuti dai dogmi di tutti costoro, deformiamo le leggi di Cristo.
Come se la sua dottrina non potesse essere di tutti, come se potesse
accordarsi con la sapienza dei filosofi. Abbiamo, noi cristiani,
preteso onori, trattenuto ricchezze dateci per i poveri, fino a
ritenere che il ricco sia il migliore. Abbiamo onorato la ricchezza
più dei pagani. Ad onori e ricchezze parve convenire anche un certo
potere, al punto che il vescovo non si sentiva vescovo se non
possedeva un potere temporale. Infine, abbandonato ogni pudore,
abbiamo raggiunto e superato i pagani in ambizione, lusso, tirannide.
11. Quando mai i pagani si
sono fatti guerra con la crudeltà con cui i cristiani combattono tra
loro? Quante stragi abbiamo visto in questi pochi anni! E poi ce la
prendiamo con i turchi, a cui, con le nostre lotte fratricide, diamo
lo spettacolo a loro più gradevole. Serse, Alessandro Magno, che
Seneca chiama «briganti
furiosi», combattevano più umanamente di noi, non avevano le nostre
macchine belliche, i loro motivi non erano inconsistenti come i
nostri. Nelle storie dei pagani trovi condottieri che preferirono
vincere il nemico con la generosità, col parlare, prima che con le
armi. Noi, pseudocristiani, non perdiamo occasione di guerra. C'erano
regole, cerimonie del “feciale”, per moderare la violenza dello
scontro. Catone il vecchio scriveva al figlio militare di chiedere al
comandante il permesso di incontrarsi col nemico. Il giuramento
militare toglieva la facoltà di uccidere, appena dato il segnale di
ritirata. «Nessuno credeva lecito uccidere, a meno che non fosse
costretto da necessità». Oggi, fra noi pseudocristiani, è detto
uomo forte chi uccide e deruba un cittadino disarmato della nazione
nemica. Si chiamano soldati quelli che, per i soldi, vanno a
combattere da una parte o dall'altra, e non ci fanno orrore come ci
fa il boia. Chi ruba una veste è un infame, chi depreda tanti
innocenti in guerra è annoverato fra i cittadini dabbene. Il soldato
più feroce diventa il capo nella guerra successiva. I monarchi
cristiani sono peggiori dei monarchi pagani, che civilizzavano le
provincie conquistate. Noi imitiamo e superiamo solo ciò che era
pessimo nei pagani.
12.
In che modo noi difendiamo questa così grande follia? Dicono: se la
guerra non fosse lecita, Dio non avrebbe mandato gli ebrei contro i
nemici. Sì, ma combattevano solo contro stranieri ed empi, e noi tra
cristiani! Se ci piace tanto l'esempio degli ebrei, perché non ci
tagliamo anche il prepuzio, non immoliamo vittime, e non prendiamo
parecchie mogli? La guerra è loro permessa, come il ripudio, per la
«durezza» del loro cuore. Ma Cristo ordinò di riporre la spada: ai
cristiani è lecita solo la guerra bellissima contro la cupidigia,
l'ira, l'ambizione, la paura della morte, i veri nemici della chiesa.
«Solo questa è la guerra che genera la vera pace». Alcuni
intendono le due spade come i due poteri, civile ed ecclesiastico,
rivendicati dai successori di Pietro. Ma Cristo disarmò Pietro,
proibendo quella guerra che prima sembrava lecita. Cristo non approvò
la difesa con le armi, ma insegnò solo la pazienza. Mandò i suoi
dai tiranni armati solo del bastone da pellegrino e dalla bisaccia. I
martiri non si sono mai serviti della spada. Si accampano poi varie
formule rabbiniche per giustificare chi fa guerra, chi la dirige, chi
la giustifica, e si svalutano gli insegnamenti di Cristo: così si dà
avallo religioso alla cupidigia dei principi, e si fa di Cristo un
banditore di guerre. Cristo indica il fine dello sforzo morale, non
dà le misure del permesso e del vietato5.
Oggi passa per eretico chi esorta a fuggire la guerra, e per campione
di ortodossia chi toglie forza al Vangelo. «Ma un dottore davvero
cristiano non approva mai la guerra; e se, forse, in qualche momento
la ammette, lo fa suo malgrado, e con dolore».
13.
Si fanno obiezioni a favore del diritto di guerra. È diritto
di natura e consuetudine respingere la forza con la forza. Risposta:
ma il vangelo va oltre, ci comanda di fare del bene a chi ci fa del
male. Obiettano ancora: queste cose riguardano gli Apostoli. No:
riguardano tutti quelli che sperano in Cristo. Chi si ride di lui
combatte per il denaro e il potere, ma questa è morte più che vita.
Ci obiettano casi di papi e padri della chiesa a favore della
guerra. Rispondiamo: è tradizione non univoca; e comunque, perché
seguire esempi equivoci, divergenti dalla parola chiara di Cristo?
Dicono ancora che, come è lecito giustiziare un reo, sarà lecito
punire una città con la guerra. Ma in giudizio c'è il primato della
legge; la guerra è giudizio in causa propria, e la pena va su
migliaia di innocenti. I vantaggi della guerra sono per i briganti.
In tribunale si punisce uno per il bene di tutti; in guerra sono
puniti tutti, benché innocenti. In conclusione: meglio pochi
colpevoli impuniti che condannare, con loro, tutti gli innocenti. E
ancora ci dicono: la guerra è diritto dei prìncipi. Per uno come me
è rischioso discutere troppo arditamente degli affari dei principi.
Dirò solo che tutti avrebbero qualche diritto da rivendicare. Il
governo è amministrazione, non possesso. Non si ha diritto sugli
uomini, liberi per natura, come sul bestiame. Il diritto dei prìncipi
viene dal consenso del popolo, che può toglierlo. È
un diritto che i prìncipi rivendicano per sé, non per la giustizia.
14. In ogni caso, la guerra
non conviene. Se non hai animo di principe abbi almeno l'animo del
mercante, che considera un guadagno cavarsi da un pericolo con una
piccola perdita. Se consideri vantaggi e svantaggi, «ti
accorgi che è molto meglio una pace ingiusta di una guerra giusta».
Chi andrebbe a pescare con un amo d'oro? Piuttosto che spargere
sangue cristiano, lascerei a chiunque ogni suo preteso diritto. E
poi, che bisogno c'è di correre subito alle armi? Il mondo è pieno
di personalità sagge, di assemblee e senati istituiti dai nostri
padri: perché non rimettere al loro arbitrato le bizze dei principi?
Più degno di rispetto è
l'argomento della difesa della chiesa. Ma il popolo è la chiesa. E
la dignità della chiesa non sta nei soldi dei preti, e la chiesa non
è nata e cresciuta su guerre e stragi, ma sul sangue dei martiri.
15. A me, poi, non sembra da
approvare il nostro continuo preparare la guerra contro i turchi.
Sarebbe una misera religione cristiana se la sua salvezza dipendesse
da questo. Non si fanno buoni cristiani, così. «Quel
che la spada dà, la spada toglie».
Vuoi convertire i turchi a Cristo? Mostra non ricchezze, eserciti,
potenza, ma i caratteri del cristiano: vita pura, volontà di far
bene, anche ai nemici, sopportazione delle offese, disprezzo del
denaro e della gloria. Queste sono le armi per assoggettare i turchi.
Ora, invece, combattiamo i malvagi da malvagi. Dirò arditamente: se
togliamo il nome della croce, siamo solo dei turchi contro altri
turchi. Una religione militare va difesa con la guerra. Perché non
fidiamo nel presidio di Cristo? Ma chiedono: perché non posso
sgozzare quelli che ci sgozzano? Io rispondo: non puoi tollerare che
qualcuno sia più scellerato di te? «Credi davvero che sia da
cristiani trucidare quelli che noi consideriamo empi, ma che pure
sono uomini per la cui salvezza Cristo è morto?». Il diavolo si
rallegra due volte, perché è stato ucciso un uomo, e perché a
ucciderlo è stato un cristiano. Molti che vogliono apparire
cristiani fanno ai turchi il maggior male possibile, li maledicono
come eretici e dimostrano così di essere loro i più veri eretici.
Chi vuol essere ortodosso cerchi con miti argomentazioni di far
ricredere chi è nell'errore. Se gli antichi predicatori del vangelo
avessero avuto con noi l'animo che noi abbiamo coi turchi, dove
saremmo noi, che siamo diventati cristiani per la loro tolleranza?
«Aiuta i turchi, e, se puoi, da empi rendili pii; se non puoi,
prega, e io riconoscerò in te l'anima del cristiano».
Oggi
molti ordini di monaci vogliono apparire colonne della chiesa, ma
quanti darebbero la vita per diffondere la fede? Se avessero i
costumi di Domenico, di Francesco, degli Apostoli! Oggi quelli che si
vantano vicari e successori di Pietro ripongono tutta la loro fiducia
nelle sole possibilità umane. Vivono in modo che è più facile che
si corrompano loro stessi più che rendere migliori gli altri.
Servono la tirannide dei principi, vanno a caccia di quattrini, si
mostrano attivi a censurare proposizioni eretiche, regnano con danno
del popolo cristiano più che estendere con loro rischio il regno di
Cristo. «Quelli che noi chiamiamo turchi sono inn gran parte quasi
cristiani, probabilmente più vicini al vero cristianesimo della
maggior parte dei nostri». Togliamo la trave dal nostro occhio prima
della pagliuzza dall'occhio del fratello. Chi ci presterà fede se
tutta la nostra vita è preoccupazione del mondo? Cristo non spezza
la canna incrinata (Matteo 12,20) e noi, invece, «ci apprestiamo a
distruggere in guerra Asia e Africa, anche se ci vivono tanti
cristiani o quasi cristiani. Perché non cerchiamo di riconoscerli,
di averne cura, di renderli migliori con la dolcezza? In realtà, se
vogliamo solo estendere i nostri domini, perché coprire col pretesto
di Cristo una cosa tanto profana?».
Qualcuno
dirà: Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Ma questo vale per
chi confida solo in Dio, e non nelle armi. Cristo Gesù dice: Chi di
spada ferisce, di spada perirà. Allora, imbracciamo la spada del
vangelo e lo scudo della fede. «Accadrà così che vinceremo
veramente allorquando saremo vinti». Ma supponiamo di vincere la
guerra. Chi mai ha visto fare dei veri cristiani col ferro, la
strage, gli incendi? «È minor male essere turchi o giudei sinceri
che cristiani ipocriti». «Io preferisco un turco autentico a un
falso cristiano». «Per trasformare i turchi in cristiani cattivi e
falsi, noi renderemo ancora peggiori tanti cattivi cristiani». Ho un
sospetto che la guerra contro i turchi sia annunciata per spogliare
il popolo cristiano, che sopporti la tirannide dei principi civili ed
ecclesiastici.
Non
condanno del tutto la guerra contro i turchi, se sono loro ad
assalirci. Voglio che la guerra in nome di Cristo sia condotta con
animo cristiano e mezzi cristiani. I turchi vedano che sono invitati
alla salvezza, non braccati come prede. La nostra professione di fede
sia semplice e davvero apostolica, senza troppe aggiunte umane. Su
pochi punti il consenso sarà più facile e duraturo. Di tutto questo
dirò più ampiamente nel libro Antipolemos6,
che scrissi a Roma, dedicato a Giulio II.
Quasi
tutte le guerre dei cristiani nascono da stoltezza o malvagità di
giovani principi, infiammati da stupide storie, istigati dagli
adulatori, eccitati da giuristi, teologi e vescovi. Cominciano per
leggerezza e devono poi imparare, a prezzo di tante sventure, che «la
guerra va fuggita in ogni modo». In tempo di pace, le leggi e le
istituzioni pongono limiti alla volontà dei principi. In guerra, il
capriccio di pochi è il potere supremo. Poi nascondiamo le nostre
colpe sotto formule onorevoli: la difesa della religione, il diritto
canonico, i patti infranti, … Ma non ottengono mai quello che
vogliono e piombano in altri guai. E se finisce nel migliore dei modi
è merito della fortuna, che, potente in tutto, nella guerra è
potentissima. Se l'orgoglio ti spinge alla guerra, devi implorare dei
barbari, uomini colpevoli di ogni genere di misfatti, perché è con
gente simile che si combattono le guerre: così ti devi umiliare
all'ultima feccia dell'umanità. Se è il guadagno che ti spinge, fai
bene i tuoi calcoli. Fai guerra per lo Stato? Ma è per la guerra che
gli Stati vanno in malora. Se ami davvero i tuoi, chiediti: perché
espongo a ogni malanno questa gioventù così fiorente? Perché
privare tante spose dei mariti, e tanti figli dei genitori? Perché
sostenere qualche dubbio diritto col sangue dei sudditi? Sarebbe
stato prudente considerare tutto questo, sarebbe stato cristiano
fuggire e scongiurare un evento tanto diabolico, tanto lontano dalla
vita e dalla dottrina del Cristo.
«Se
poi la guerra non si potrà evitare in nessun modo, data la malvagità
dei molti, quando nulla più resterà di intentato, quando per amore
della pace si sarà fatto tutto, l'unica cosa che rimarrà ancora
sarà adoperarsi perché l'infame impresa sia fatta da infami, e si
concluda col minor spargimento possibile di sangue».
Se,
infatti, ci adopereremo per essere davvero cristiani, se avremo
l'innocenza, l'amore, la pazienza, se sapremo superare con i benefici
l'ingiuria recataci, «quale mai guerra potrebbe scoppiare tra noi
per motivi inconsistenti? Se invece Cristo è una favola, perché non
lo eliminiamo francamente?». Se riconosciamo il suo magistero,
allora mostriamolo, e non con scritte e insegne, ma con la nostra
vita. «Facciamo nostra la causa della pace, perché Cristo a sua
volta riconosca i suoi». Si adoperino i pontefici, i principi, le
città. Se il popolo si agita, sia ricondotto all'ordine da principi,
che devono essere nello Stato come l'occhio nel corpo e la ragione
nell'anima. Se invece sono i principi a turbare la pace, compete alla
saggezza e autorità dei pontefici ricomporre i disordini. «Ma non
siamo ancora sazi di guerre, che non finiscono mai, e non sentiamo il
desiderio della pace?». Lo esige il mondo stanco di sventure, ci
invita Cristo, ci esorta il pontefice Leone decimo, vero vicario in
terra del pacifico Gesù Cristo. Egli si adopera perché la chiesa
fiorisca non già per ricchezza e potere, ma per i propri pregi. La
gloria della guerra circondi pure Giulio: «non sta a gente come me
dire quanto tutto questo convenga a un pontefice. Dio solo sa che la
sua gloria è legata al dolore e alla morte di moltissimi uomini. Ben
più vera gloria darà al nostro Leone la pace restituita al mondo».
1 Erasmo
allude a Giulio II, che l'11 novembre 1506 vede entrare
trionfalmente a Bologna. Sulle guerre di questo papa scrive
l'Antipolemos, opera
perduta. Giulio II muore nel 1513. Compare il dialogo Julius
exclusus e coelis, attribuibile
ad Erasmo.
2 Qui
Erasmo anticipa quel chiaro pensiero di Kant in Per la pace
perpetua: «La guerra è un
male perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo». Così è
tolta ogni giustificazione morale della guerra, come capace di
togliere un male.
3
Cfr Primo Mazzolari: «La guerra è più che un pericolo, è un
crimine» (Tu
non uccidere,
p.19 ed. 1965) .
4
La irrazionalità della guerra, specialmente nei nostro tempo, è
stata proclamata nel modo più icastico da papa Giovanni XXIII: «È
pura follia – alienum
a ratione - pensare
che. nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come
strumento di giustizia» (Pacem
in terris, 11 aprile
1963, n. 67).
5 Qui
Erasmo dimostra una concezione non giuridicistica e casuistica, ma
spirituale e dinamica, della morale cristiana. A questa comprensione
è arrivata la teologia morale grazie al rinnovamento evangelico del
Novecento.
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