mercoledì 12 settembre 2018

Tempi di Fraternità – Circolo dei Lettori – Torino 10 settembre 2018

Ripartiamo da Erasmo

Perché ritrovare Erasmo, come propone Tempi di Fraternità? Per ritrovare l'umanesimo.
Ci accorgiamo, se ascoltiamo le voci delle coscienze più attente, che il problema del momento politico, civile, sociale, è un problema di umanità. «Restiamo umani», ci ripetono le testimonianze più vive. Ritorniamo umani, ci diciamo davanti a certi fenomeni glaciali e frane spirituali in corso.
Nella nostra comune umanità c'è miseria e grandezza. Sentiamo umiltà, pentimento e bisogno di cambiamento per la miseria comune. Viviamo anelito, desiderio, ricerca, per la grandezza umana, che compare nei maestri illuminati, e resta anelito nascosto nei giusti sconosciuti, su cui poggia il mondo.
La “cultura animi”, la coltivazione dell'umano in noi, l'umanesimo, composto di varie luci, oggi è minacciato dalla riduzione dell'uomo a funzione, a semplice supporto della tecnologia auto-noma (fino ai robot-killer, che decidono da soli e potranno minacciarci). L'uomo rischia di essere governato dalla tecno-crazia. Comunichiamo con frasi-frecce, senza meditazione, senza mediazioni. Sentiamo confusamente che qualcosa ci confonde e ci fa paura. Anche in altri momenti l'umanità si è degradata, ma a noi tocca vivere questa contingenza.

1 – L'altra modernità
Erasmo è un mite alfiere dell'appello alla nostra umanità, differente e irriducibile alle cose. Non facciamo di Erasmo il maestro unico, ma ci interessa molto, tra le voci creative della civiltà moderna, oggi in crisi (o in evoluzione?), perché egli ha parlato e dato segnali sul bivio storico dal quale nacque il cammino sia della modernità umanistica (dei diritti umani, della coscienza planetaria), sia della modernità caratterizzata dal potere distruttivo, tanto dell'ambiente vitale, quanto della stessa esistenza umana.
Erasmo è l'altra modernità interrotta , non è riconosciuto dalla modernità che è prevalsa.
Erasmo è conosciuto soprattutto per l' Elogio della follia: fine ironia amara e sorridente sulla miseria umana. È meno conosciuto per la sua opera di pace, che è ammirazione e speranza-stimolo per il compimento della grandezza umana. Vigilante severo contro ogni fanatismo, ci preserva dal rendere violenta la passione del vero e del giusto.
Scrive Eugenio Garin: Erasmo è “ossessionato” per la pace, cioè per l'umanità che ha cura dell'umanità. Oggi è dunque da riaccendere l'attenzione e l'interesse per Erasmo come un padre della migliore modernità. «In Erasmo la lotta per la pace, il bene della pace, è davvero il pensiero dominante, il punto di raccordo e la radice di tutto il suo umanesimo cristiano, del suo cristianesimo evangelico» (Eugenio Garin, Erasmo, Edizioni Cultura della Pace 1988, p. 7)
Erasmo costruisce una cultura di pace, in senso ampio, per almeno tre ragioni: respira l'umanesimo pre-cristiano classico; riporta il cristianesimo alle fonti genuine (traduce e restituisce il Nuovo Testamento alla sua forma autentica); è vero che non riforma le istituzioni (critica di Stefan Zweig), ma riforma l'anima che queste hanno bisogno di respirare.


2 - L'opera di pace
Considero, per quel che ho potuto capire, il Dulce bellum inexpertis più importante e diretto della Querela pacis, il Lamento della pace.
Ci vedo un anticipo della cultura moderna della pace politica, che è assenza e liberazione dalla violenza sia fisica, sia strutturale, sia culturale. La pace politica è frutto e compimento delle pace personale condivisa. Il terribile Novecento è anche il secolo della evoluzione del concetto di pace, da virtù personale, mitezza, in-nocuità, alla virtù politica, qualità e obiettivo della politica umana: la pace non si raggiunge solo come frutto della giustizia (Isaia 32,17), ma anche la giustizia va ottenuta con mezzi pacifici.
Chi non desidera la tranquillità della pace? Pero, non basta il pacifismo – che è paura di morire (e può essere astensione, tradimento) – ma occorre la nonviolenza attiva, che è paura, ripugnanza ad uccidere (Simone Weil, La prima radice). Si arriva alla pace nonviolenta col sentire che uccidere è uccidersi. Non basta il principe buono (Enchiridion, di Erasmo), occorre la cultura popolare pacifica, una civiltà della pace. La pace può essere violenta, come la “pax romana”, quando è “pace d'imperio”, la peggiore specie di pace, nella classificazione di Norberto Bobbio e di Raymond Aron. Certo, è sempre meglio della guerra – Erasmo ripete: «Meglio una pace ingiusta di una guerra giusta» - ma non è l'obiettivo di qualità umana.
Non basta la democrazia, se è consenso popolare ad una politica contro altri popoli umani. Il “demos” (popolo), libero e titolare di diritti, è ormai il demos planetario: la democrazia è cosmopolitismo, o non è. Chi non vede questo, è chiuso nella sua piccola tribù regionale, dialettale, ignorante e impaurita: il sovranismo nazionale è ormai una contrazione spastica dell'umanità.
La modernità di Erasmo su pace-guerra, si può riassumere in alcuni punti:
- Il Dulce Bellum inexpertis vuol dire non solo che la guerra piace a chi non la conosce, ma che piace a chi la fa fare agli altri. I veri “esperti” della guerra sono le sue vittime, e i suoi esecutori-vittime. Erasmo denuncia l'ignoranza della realtà umana da parte di chi promuove le guerre.
- Questo libretto contiene un'analisi dell'antropologia e della politica di guerra.
- Porta argomenti non solo morali, ma anche di convenienza contro le guerre, con molto realismo.
- Afferma la piena incompatibilità della guerra col Vangelo. Questa chiarezza arriverà soltanto con la Pacem in terris di Giovanni XXIII e coi giorni nostri.
- Il Dulce bellum cerca e propone un superamento non solo morale, ma anche nel sistema politico internazionale, della pratica della guerra legata ai poteri politici e alle culture.
- Vede chiaro che le leggi dello stato sono soggette al diritto dell'umanità.
- Porta, contro la guerra, criteri cristiani-laici, umanistici, evangelici, liberanti, non autoritari.
- Ha rispetto (realistico) dei Turchi, che rappresentavano il nemico esterno, l'altra religione (ma possono essere «più cristiani di noi», dice Erasmo): ammette la difesa dall'aggressione, ma non la guerra teologica.
La sostanza del Dulce Bellum - “non conoscete la guerra, altrimenti non vi piacerebbe, non la giustifichereste” - è demolizione dell'idolo statale, di un potere che si autorizza il sacrificio umano, l'omicidio politico. Ed è il continuo ritrovamento dell'uomo nell'uomo, dell'umano oltre lo smarrimento dell'umano. Il nostro art. 11 della Costituzione, col verbo “ripudia” rompe il matrimonio, dato dall'origine per indissolubile, tra stato e guerra, nati insieme. Lo stato (antico e moderno) vale come necessaria regola di convivenza, ma è nefasto come rottura dell'umanità tra l'interno e l'esterno, tra noi e loro.
In sostanza, il pensiero di Erasmo mette in discussione lo Stato omicida, il diritto di uccidere. Come farà Tolstoj, come fanno i profeti che precorrono la matura nonviolenza politica gandhiana.
Alcuni, anche Hans Küng, hanno accusato Erasmo di «troppo poco coraggio paolino», e di «fuga» (in Teologia in cammino, Mondadori 1987, pp. 21-55, spec. 48), di fronte a Lutero e alla sua Riforma. Ernesto Balducci, in una lettera del 21 gennaio 1989, mi scriveva: « Sono convinto, diversamente da Küng, che Erasmo, tra Roma e Lutero, aveva visto giusto: la questione dirimente, che avrebbe portato con sé anche la riforma della chiesa, era quella della pace. Non è forse oggi la vera questione ecumenica?». Cioè, la pace è il vero ecumenismo non solo cristiano, ma interculturale: pace e pluralismo, perché l'umanità è una e plurale, è irriducibile sia al monismo (impero), sia alle sovranità assolute belligene. Ormai è chiaro a noi che sarà o “convivialità delle differenze”, o distruzione totale.


3 – Dal monologo al dialogo cosmopolitico
L'Europa moderna si è costruita come “monologo”, discorso unico sull'uomo, credendo di sapere e dire tutto sull'uomo, e di essere tutto l'uomo. Ma il momento attuale pone la comparsa e il problema dell' “Altro” (Ernesto Balducci, L'Altro. Un orizzonte profetico, 2a ediz., Giunti 2004), degli altri popoli e culture che vengono a noi. Questo problema è verifica della nostra umanità, pretesa universale. Si tratta di superare il monologo, entrare nel dialogo cosmopolitico, nel pluralismo culturale, nella “pluralità delle vie” verso il vero, il giusto, il buono, il bello.
In questo cammino abbiamo dei maestri: lo stesso Balducci, Raimon Panikkar, Pier Cesare Bori, le chiese in quanto salpano via dal continente europeo, le religioni non cristiane in quanto non sono più soltanto “espressioni geografiche”, ma forme possibili dello spirito umano cercatore sui confini. Radici di questa intelligenza ampia ne troviamo in Erasmo, in generale nell'umanesimo (Pico della Mirandola, Nicola Cusano) aperto alle varie forme dell'unica umanità.



4 – Erasmo è cristiano: allora, la pace vale solo in nome di Dio?
Ci chiediamo se la questione della pace è anche la questione di un assoluto. È una questione teologica? Perché io non posso ucciderti? Solo perché c'è un divieto e un castigo? Chi difende Abele da Caino? Soltanto la forza propria di Abele, se si arma? Oppure lo difende un dio, che ascolta il grido del suo sangue? E se non abbiamo alcun dio?
Una domanda: chi si interroga e si dispone in ascolto di un Vivente Altro, di una Vita-che-dà-vita e ci fa vivi (la parola comune “dio” non ci basta più, troppo equivoca e generica), di una Realtà che sollecita e chiama e interpella dalla “sponda altra” questa nostra umanità, quando e come intravede questo Altro?
Una risposta: Questo Altro non ci appare se non nell'Altro umano: il prossimo, l'ospite, il pellegrino, il profugo, il migrante, la vittima, il bisognoso, il differente, lo straniero. Se io non sono in pace, se noi non siamo, nelle strutture comuni di civiltà, in pace e giustizia con l'altro umano che ho di fronte, non ha senso – se non di tradimento - che pensi ad un Altro trascendente, più vivo di noi.
Prima di ogni superiore verità, c'è da trovare la verità della vita. L'uomo è uomo, è la verità di se stesso, soltanto nel riconoscere l'altro uomo.
C'è uno specifico del cristianesimo, tra i cammini spirituali dell'umanità: «Dio nessuno l'ha mai visto» (vangelo secondo Giovanni 1,18) : ce lo ha spiegato il «Figlio dell'uomo», che vive nella vita del Padre. Gesù di Nazaret, per chi ha creduto a lui, è l'uomo in cui vive, in carne umana, il Dio invisibile. E ancora (1 lettera di Giovanni 4,12): «Dio nessuno l'ha mai visto: se ci amiamo tra noi egli è qui, in noi».
Luigi Pintor (in I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, 2003, p. 15, e poi 77-78), fa l'anagramma delle parole di Pilato a Gesù (in latino): «Quid est veritas?». E viene fuori: «Est vir qui adest». Che cosa è la verità? É l'uomo che ti sta davanti, il tuo prossimo.
Se la domanda e la ricerca sul mistero di colui-che-chiamiamo-Dio ha un senso, ci rimanda all'umano. E l'umanesimo non è altro che una forma di civiltà centrata sul mistero intangibile inviolabile dell'uomo. Il mistero che nell'uomo supera l'uomo. In Erasmo troviamo un maestro che ci riconduce all'inizio, o alla ripresa, di una civiltà umanistica, oggi a rischio grave di smarrimento; un umanesimo ispirato al vangelo, ma non integralista: perciò Erasmo evita di schierarsi nella lotta di potere tra Roma e Lutero: non è il potere che porta la pace. Erasmo suggerisce linee avanzate, anche oggi.

Enrico Peyretti, 10 settembre 2018

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