Tempi di Fraternità –
Circolo dei Lettori – Torino 10 settembre 2018
Ripartiamo
da Erasmo
Perché
ritrovare Erasmo, come propone Tempi
di Fraternità?
Per ritrovare l'umanesimo.
Ci
accorgiamo, se ascoltiamo le voci delle coscienze più attente, che
il problema del momento politico, civile, sociale, è un problema di
umanità. «Restiamo
umani», ci ripetono le testimonianze più vive. Ritorniamo umani, ci
diciamo davanti a certi fenomeni glaciali e frane spirituali in
corso.
Nella
nostra comune umanità c'è miseria e grandezza. Sentiamo umiltà,
pentimento e bisogno di cambiamento per la miseria comune. Viviamo
anelito, desiderio, ricerca, per la grandezza umana, che compare nei
maestri illuminati, e resta anelito nascosto nei giusti sconosciuti,
su cui poggia il mondo.
La
“cultura animi”, la coltivazione dell'umano in noi, l'umanesimo,
composto di varie luci, oggi è minacciato dalla riduzione dell'uomo
a funzione, a semplice supporto della tecnologia auto-noma (fino ai
robot-killer, che decidono da soli e potranno minacciarci). L'uomo
rischia di essere governato dalla tecno-crazia. Comunichiamo con
frasi-frecce, senza meditazione, senza mediazioni. Sentiamo
confusamente che qualcosa ci confonde e ci fa paura. Anche in altri
momenti l'umanità si è degradata, ma a noi tocca vivere questa
contingenza.
1
– L'altra modernità
Erasmo è un mite alfiere dell'appello alla nostra umanità,
differente e irriducibile alle cose. Non facciamo di Erasmo il
maestro unico, ma ci interessa molto, tra le voci creative della
civiltà moderna, oggi in crisi (o in evoluzione?), perché egli ha
parlato e dato segnali sul bivio storico dal quale nacque il cammino
sia della modernità umanistica (dei diritti umani, della coscienza
planetaria), sia della modernità caratterizzata dal potere
distruttivo, tanto dell'ambiente vitale, quanto della stessa
esistenza umana.
Erasmo
è l'altra modernità interrotta , non è riconosciuto dalla
modernità che è prevalsa.
Erasmo
è conosciuto soprattutto per l' Elogio
della follia:
fine ironia amara e sorridente sulla miseria umana. È meno
conosciuto per la sua opera di pace, che è ammirazione e
speranza-stimolo per il compimento della grandezza umana. Vigilante
severo contro ogni fanatismo, ci preserva dal rendere violenta la
passione del vero e del giusto.
Scrive
Eugenio Garin: Erasmo è “ossessionato” per la pace, cioè per
l'umanità che ha cura dell'umanità.
Oggi
è dunque da riaccendere l'attenzione e l'interesse per Erasmo come
un padre della migliore modernità. «In
Erasmo la lotta per la pace, il bene della pace, è davvero il
pensiero dominante, il punto di raccordo e la radice di tutto il suo
umanesimo cristiano, del suo cristianesimo evangelico»
(Eugenio Garin, Erasmo,
Edizioni Cultura della Pace 1988, p. 7)
Erasmo
costruisce una cultura di pace, in senso ampio, per almeno tre
ragioni: respira l'umanesimo pre-cristiano classico; riporta il
cristianesimo alle fonti genuine (traduce e restituisce il Nuovo
Testamento alla sua forma autentica); è vero che non riforma le
istituzioni (critica di Stefan Zweig), ma riforma l'anima che queste
hanno bisogno di respirare.
2
- L'opera di pace
Considero,
per quel che ho potuto capire, il Dulce
bellum inexpertis più
importante e diretto della Querela
pacis,
il
Lamento
della pace.
Ci
vedo un anticipo della cultura moderna della pace politica, che è
assenza e liberazione dalla violenza sia fisica, sia strutturale, sia
culturale. La pace politica è frutto e compimento delle pace
personale condivisa. Il terribile Novecento è anche il secolo della
evoluzione del concetto di pace, da virtù personale, mitezza,
in-nocuità, alla virtù politica, qualità e obiettivo della
politica umana: la pace non si raggiunge solo come frutto della
giustizia (Isaia 32,17), ma anche la giustizia va ottenuta con mezzi
pacifici.
Chi
non desidera la tranquillità della pace? Pero, non basta il
pacifismo – che è paura di morire (e può essere astensione,
tradimento) – ma occorre la nonviolenza attiva, che è paura,
ripugnanza ad uccidere (Simone Weil, La
prima radice).
Si arriva alla pace nonviolenta col sentire che uccidere è
uccidersi. Non basta il principe buono (Enchiridion,
di Erasmo), occorre la cultura popolare pacifica, una civiltà della
pace. La pace può essere violenta, come la “pax romana”, quando
è “pace d'imperio”, la peggiore specie di pace, nella
classificazione di Norberto Bobbio e di Raymond Aron. Certo, è
sempre meglio della guerra – Erasmo ripete: «Meglio
una pace ingiusta di una guerra giusta» - ma non è l'obiettivo di
qualità umana.
Non
basta la democrazia, se è consenso popolare ad una politica contro
altri popoli umani. Il “demos” (popolo), libero e titolare di
diritti, è ormai il demos planetario: la democrazia è
cosmopolitismo, o non è. Chi non vede questo, è chiuso nella sua
piccola tribù regionale, dialettale, ignorante e impaurita: il
sovranismo nazionale è ormai una contrazione spastica dell'umanità.
La
modernità di Erasmo su pace-guerra, si può riassumere in alcuni
punti:
-
Il Dulce
Bellum inexpertis
vuol dire non solo che la guerra piace a chi non la conosce, ma che
piace a chi la fa fare agli altri. I veri “esperti” della guerra
sono le sue vittime, e i suoi esecutori-vittime. Erasmo
denuncia l'ignoranza della realtà umana da parte di chi promuove le
guerre.
-
Questo libretto contiene un'analisi
dell'antropologia e della politica di guerra.
-
Porta argomenti non solo morali, ma anche di convenienza contro le
guerre, con molto realismo.
-
Afferma la piena incompatibilità della guerra col Vangelo. Questa
chiarezza arriverà soltanto con la Pacem
in terris
di Giovanni XXIII e coi giorni nostri.
-
Il Dulce
bellum
cerca e propone un superamento non solo morale, ma anche nel sistema
politico internazionale, della pratica della guerra legata ai poteri
politici e alle culture.
-
Vede chiaro che le leggi dello stato sono soggette al diritto
dell'umanità.
-
Porta, contro la guerra, criteri cristiani-laici, umanistici,
evangelici, liberanti, non autoritari.
-
Ha rispetto (realistico) dei Turchi, che rappresentavano il nemico
esterno, l'altra religione (ma possono essere «più
cristiani di noi»,
dice Erasmo): ammette la difesa dall'aggressione, ma non la guerra
teologica.
La
sostanza del Dulce
Bellum
- “non conoscete la guerra, altrimenti non vi piacerebbe, non la
giustifichereste” - è demolizione dell'idolo statale, di un
potere che si autorizza il sacrificio umano, l'omicidio politico. Ed
è il continuo ritrovamento dell'uomo nell'uomo, dell'umano oltre lo
smarrimento dell'umano. Il nostro art. 11 della Costituzione, col
verbo “ripudia” rompe il matrimonio, dato dall'origine per
indissolubile, tra stato e guerra, nati insieme. Lo stato (antico e
moderno) vale come necessaria regola di convivenza, ma è nefasto
come rottura dell'umanità tra l'interno e l'esterno, tra noi e loro.
In
sostanza, il pensiero di Erasmo mette in discussione lo Stato
omicida, il diritto di uccidere. Come farà Tolstoj, come fanno i
profeti che precorrono la matura nonviolenza politica gandhiana.
Alcuni,
anche Hans Küng,
hanno accusato Erasmo di «troppo poco coraggio paolino», e di
«fuga» (in Teologia
in cammino,
Mondadori 1987, pp. 21-55, spec. 48), di fronte a Lutero e alla sua
Riforma. Ernesto Balducci, in una lettera del 21 gennaio 1989, mi
scriveva: «
Sono convinto, diversamente da Küng, che Erasmo, tra Roma e Lutero,
aveva visto giusto: la questione dirimente, che avrebbe portato con
sé anche la riforma della chiesa, era quella della pace. Non è
forse oggi la vera questione ecumenica?». Cioè, la pace è il vero
ecumenismo non solo cristiano, ma interculturale: pace e pluralismo,
perché l'umanità è una e plurale, è irriducibile sia al monismo
(impero), sia alle sovranità assolute belligene. Ormai è chiaro a
noi che sarà o “convivialità delle differenze”, o distruzione
totale.
3
– Dal monologo al dialogo cosmopolitico
L'Europa
moderna si è costruita come “monologo”, discorso unico
sull'uomo, credendo di sapere e dire tutto sull'uomo, e di essere
tutto l'uomo. Ma il momento attuale pone la comparsa e il problema
dell' “Altro” (Ernesto Balducci, L'Altro.
Un orizzonte profetico,
2a
ediz., Giunti 2004), degli altri popoli e culture che vengono a noi.
Questo problema è verifica della nostra umanità, pretesa
universale. Si tratta di superare il monologo, entrare nel dialogo
cosmopolitico, nel pluralismo culturale, nella “pluralità delle
vie” verso il vero, il giusto, il buono, il bello.
In
questo cammino abbiamo dei maestri: lo stesso Balducci, Raimon
Panikkar, Pier Cesare Bori, le chiese in quanto salpano via dal
continente europeo, le religioni non cristiane in quanto non sono più
soltanto “espressioni geografiche”, ma forme possibili dello
spirito umano cercatore sui confini. Radici di questa intelligenza
ampia ne troviamo in Erasmo, in generale nell'umanesimo (Pico della
Mirandola, Nicola Cusano) aperto alle varie forme dell'unica umanità.
4
– Erasmo è cristiano: allora, la pace vale solo in nome di Dio?
Ci
chiediamo se la questione della pace è anche la questione di un
assoluto. È una questione teologica? Perché io non posso ucciderti?
Solo perché c'è un divieto e un castigo? Chi difende Abele da
Caino? Soltanto la forza propria di Abele, se si arma? Oppure lo
difende un dio, che ascolta il grido del suo sangue? E se non
abbiamo alcun dio?
Una
domanda: chi si interroga e si dispone in ascolto di un Vivente
Altro, di una Vita-che-dà-vita e ci fa vivi (la parola comune “dio”
non ci basta più, troppo equivoca e generica), di una Realtà che
sollecita e chiama e interpella dalla “sponda altra” questa
nostra umanità, quando e come intravede questo Altro?
Una
risposta: Questo Altro non ci appare se non nell'Altro umano: il
prossimo, l'ospite, il pellegrino, il profugo, il migrante, la
vittima, il bisognoso, il differente, lo straniero. Se io non sono in
pace, se noi non siamo, nelle strutture comuni di civiltà, in pace e
giustizia con l'altro umano che ho di fronte, non ha senso – se non
di tradimento - che pensi ad un Altro trascendente, più vivo di noi.
Prima
di ogni superiore verità, c'è da trovare la verità della vita.
L'uomo è uomo, è la verità di se stesso, soltanto nel riconoscere
l'altro uomo.
C'è
uno specifico del cristianesimo, tra i cammini spirituali
dell'umanità: «Dio
nessuno l'ha mai visto»
(vangelo secondo Giovanni 1,18) : ce lo ha spiegato il «Figlio
dell'uomo»,
che vive nella vita del Padre. Gesù di Nazaret, per chi ha creduto a
lui, è l'uomo in cui vive, in carne umana, il Dio invisibile. E
ancora (1 lettera di Giovanni 4,12): «Dio
nessuno l'ha mai visto: se ci amiamo tra noi egli è qui, in noi».
Luigi
Pintor (in I
luoghi del delitto,
Bollati Boringhieri, 2003, p. 15, e poi 77-78), fa l'anagramma delle
parole di Pilato a Gesù (in latino): «Quid
est veritas?».
E viene fuori: «Est
vir qui adest».
Che cosa è la verità? É l'uomo che ti sta davanti, il tuo
prossimo.
Se
la domanda e la ricerca sul mistero di colui-che-chiamiamo-Dio ha un
senso, ci rimanda all'umano. E l'umanesimo non è altro che una forma
di civiltà centrata sul mistero intangibile inviolabile dell'uomo.
Il mistero che nell'uomo supera l'uomo. In Erasmo troviamo un maestro
che ci riconduce all'inizio, o alla ripresa, di una civiltà
umanistica, oggi a rischio grave di smarrimento; un umanesimo
ispirato al vangelo, ma non integralista: perciò Erasmo evita di
schierarsi nella lotta di potere tra Roma e Lutero: non è il potere
che porta la pace. Erasmo suggerisce linee avanzate, anche oggi.
Enrico
Peyretti, 10 settembre 2018
Nessun commento:
Posta un commento