Fare
o pensare?
Fare o
pensare? Ovvio, non è un'alternativa. Ma, di fatto, è spesso una
separazione. Oggi si vuole una scuola che insegni a lavorare,
che dia
competenze, il saper fare. E chi dice di no? Ma è un buon lavoro
quello fatto senza saper pensare? Pensare non è solo la capacità
di
costruire un ponte che non crolli (il minimo per un ponte
decente,
onesto), ma è, oltre il ponte fatto bene, sapere e pensare in
quale
insieme di vita e di significati giusti e umani quel ponte entra
in
funzione.
Pensare
è interrogarsi, un passo oltre il saper fare: "Perché lo
faccio?". L'interrogativo è più importante della risposta, che
può nascere solo dalla domanda, dalla fecondità del non sapere,
dal
travaglio dell'ignoranza viva e pregna perché curiosa. Il
pensiero è
interrogativo. Proibire le domande è proibire l'umano.
Fare
senza pensare è come lo schiavo nell'anima, come il soldato che
obbedisce, funziona, e uccide, senza coscienza di sé e degli
altri.
Anche pensare senza fare, non va bene. Anche il poeta e il
pittore,
il filosofo e l'astrofisico, devono rendersi utili, almeno dando
piacere, almeno insegnando ad altri il loro sapere, la loro
arte,
almeno proponendo domande e misteri, tra tante certezze.
Sapere
non è accumulare conoscenze, né abilità. Come ogni parola,
sapere
(verbo e sostantivo) ha un grappolo di significati (ogni parola
è un
albero con radici e rami e fiori, in una foresta di creature
sonore).
Oltre conoscere, sapere vuol dire anche capire, avere
consapevolezza
(coscienza), essere saggio, avere sapore, dare e sentire un
gusto,
buono o cattivo. Non si ha né si trasmette un sapere senza tutto
ciò, con la mente, le mani, la lingua, gli occhi, la pelle, e
tutti
i sensi.
L'insegnante
deve trasmettere quello che già sappiamo, ma accanto a lui ci
vuole
il ricercatore senza vincoli che indaga, curioso, nel grande
campo di
quel che non sappiamo. E ogni scolaro, ogni studente, deve
imparare,
ma anche almeno un po' ricercare.
Non
c'è
un fare umano se non è più del saper fare: cioè capire cosa
faccio, farne esperienza e trarne saggezza, gustarne il sapore,
pagarne liberamente il prezzo della fatica, goderne il valore e
la
bellezza. Senza tutto ciò, il lavoratore è uno schiavo ben
allenato, e disumanizzato: ma un robot è più bravo di lui,
perché non rischia di
pensare.
Certamente,
la politica deve creare occasioni di lavoro e degno salario, e
la
scuola deve dare capacità corrispondenti, per la vita giusta di
tutti. Ma, perché sia lavoro umano, deve crescere in compagnia
del
sapere, di tutti i significati del sapere. La scuola deve
educare
tutta intera la persona umana: fare cultura è coltivare tutte le
dimensioni umane: dall'utile, al gratuito, al bello, al vero, al
giusto, al buono. Non solo l'utile. I ragazzi che oggi si
svegliano
dall'imbambolamento che gli abbiano somministrato, in sostanza
forse
chiedono questo. Saremo capaci di rispondere?
E. P.
Nessun commento:
Posta un commento