Dibattito sul post-teismo: il primo è stato Gesù, dice Enrico Peyretti
Non lascia tregua il pensiero di Dio, della sua esistenza, della sua identità. Perché è domanda di senso alla quale gli esseri umani, consapevoli della spiritualità di cui soli al mondo sono capaci, non possono sfuggire. Sicché il dibattito sul cosiddetto "post-teismo" non può che arricchirsi della ricerca verso, della tensione verso, senza poter qualificare la mèta finale di questo "verso". E su quale "scialuppa" imbarcarsi per prendere il largo? Enrico Peyretti sceglie la preghiera, in una accezione di cui spiega articolazioni e senso nella sua email di oggi, peraltro introdotta con questa premessa: «Ieri mi proponevo il silenzio, oggi l'ho violato con questa riflessione. Scusatemi, se volete. Enrico».
Post-teismo e preghiera
Enrico Peyretti
Sto cercando di rileggere e meditare per me i salmi. Sono preghiera, invocazione, ringraziamento, lode, interrogazione, anche rimprovero e disperazione, cioè sono colloquio. Si parla forse a chi non ascolta, a chi non ha attenzione a me che chiamo? Sì, si chiama anche nel vuoto, se si spera che qualcuno possa forse sentire. In tutta l'umanità c'è preghiera. La preghiera lanciata dal bisognoso è follia o speranza? La speranza che un vivente cosciente, possa essere in relazione con me cosciente, è forse follia, come lo psicotico che parla al muro? Dappertutto c'è preghiera. Il desiderio è preghiera (dice S. Agostino), l'agonia è preghiera, l'esultanza felice è preghiera.
Questo che sto dicendo è un mio pregiudizio? Ha senso solo entro la fede nell'esistenza di un Dio Vivente Cosciente? Il desiderio umano è affermazione che una risposta è attesa? La sete dimostra la sorgente? No, dice Sartre. Saremmo sete dannata? Se alla nostra sete appare la speranza, o l'intuizione profonda, di un Ascolto Vivente, che chiamiamo grossolanamente Dio, mi sembra che questo Dio possa essere pensato solo come Persona, Relazione, Coscienza, Volontà di Bene. La ripulitura e purificazione dell'immagine di Dio, non può arrivare a ridurlo a energia, forza, dinamica inscritta nel mondo, senza alcuna stimolante alterità dal mondo. Quella riduzione equivale a dire: non c'è alcun dio. Perché chiami? Devi arrangiarti da solo. Un post-teismo così radicalmente riduttivo - né Persona, né Coscienza, né un Tu altro da noi comunicante con noi - sarebbe semplicemente la negazione: non-teismo, nessun dio.
Allora, dovremmo starcene soli, ognuno solo, nel deserto totale. Se così fosse, cerchiamo almeno di stare stretti tra noi in pace, senza farci del male, senza aggiungere dolore. Ma che cosa è il desiderio di giustizia e pace, in lotta col mio istinto di sopravvivenza (cioè, in caso di conflitto, voglio vivere io più di te: mors tua vita mea) e voglia di sopraffazione? Chi disturba la mia e tua selvaggia natura col desiderio coraggioso della non facile pace giusta? E' un'idea della vita superiore alla mia prima idea naturale, che è il selvaggio sopravvivere. Chi mi chiama oltre il mio primo istinto, in un vivere più vivo, non impastato di morte, come è la figura dell'uomo armato contro l'uomo?
L'Uomo davvero più vivo e più coraggioso nell'amare, e nel mostrare quella vita più viva, ha accettato di soffrire e di morire nell'ignominia e nella tortura, per affermare la verità di quella vita più viva (vita eterna, la chiamano i vangeli, cioè: vita che non muore). "Dio nessuno lo ha mai visto": l'uomo Gesù di Nazareth che lo spiega, ce lo mostra, ce lo rende presente, con sentimento e immagini lontane da quel teismo imperativo e opprimente che i post-teisti giustamente combattono. L'immagine di Dio in Gesù è forza di Vita-più-viva, eppure ben più personale, cosciente, comunicante, parlante più del dio ridotto a energia, come del dio aristotelico, "atto puro", lontanissimo e assente, ma entrato invadente nella predicazione della potenza ecclesiastica, che ne fa puntello del proprio potere. Gesù ha mostrato un Dio datore di vita, radicalmente diverso dal dio-potenza schiacciante, che giustamente vogliamo decostruire, e dal dio-strumento del potere religioso.
Il post-tesimo lo ha già fatto Gesù, e ne ha testimoniato la verità accettando di morire per fedeltà al suo messaggio, e per amore di noi destinatari del messaggio di liberazione e di vita nuova. Il suo Spirito riempie la terra e l'umanità, ben al di là dei confini religiosi, eppure ha bisogno che lo raccogliamo sempre di nuovo nella sua chiarezza luminosa. Dio ha novantanove nomi ma il suo più vero non lo conosciamo: ad esso ci avviciniamo balbettando Vita, Bene, Luce, Origine, Parola. Per Gesù, nel suo linguaggio, è Padre materno.
La cosa importante, vitale, è che andando "oltre" Dio e le religioni, nelle forme dominanti, dopo tutti i "post", non ci mettiamo noi "dopo" Dio, cioè non lo mettiamo alle nostre spalle. Anche se tutto dubitativo, ignoto (come quello che vede Paolo nell'Areòpago di Atene), archiviato, accusato, negato, è cosa sana che rimanga a noi come interrogativo, perché nessun'altra domanda ci porta e ci sporge così tanto "oltre" noi stessi, quindi anche ognuno di noi "verso" l'altro nel renderci rispetto e giustizia, cioè possibilità di vivere, e di crescere nella vita. Proviamo non solo a rimuginare nella mente il problema, ma anche, se vogliamo, proviamo a chiamare verso l'orizzonte, con la preghiera, non quella rituale e celebrativa, ma quella interrogativa. Forse è la più ascoltata.
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