30 marzo 2018 - Venerdì santo
La liturgia del
venerdì santo mi ha toccato particolarmente, quest'anno. La
seguo fin da piccolo. Allora, prima della riforma, era in
latino, incomprensibile, ma il significato ce lo spiegavano
bene, lo capivamo. La croce è uno strumento per uccidere nel
modo più tormentoso. La forca, al confronto, è eutanasia, per
non dire della fucilazione. In più, uno come Gesù, venne
minuziosamente torturato e umiliato, prima di essere
inchiodato. Sono vicini a lui le migliaia di scomparsi nel
ventre delle prigioni e delle sale di tortura, come minimo
psicologica, ma anche fisicamente accurata, che non mancano
dove c'è il potere degli uni sugli altri. Dicono gli studiosi che i
racconti della passione di Gesù sono le pagine più antiche dei
vangeli, e credo che abbiano probabilità di essere veritiere,
anche perché non indulgono sui particolari atroci, li dicono
solo sobriamente. Un uomo buono e illuminato, che aveva fatto
solo del bene, venne schiacciato ferocemente, ad opera dei
potenti, si capisce, perché la bontà e la verità li offende,
ma anche tradito dal popolo che lo aveva seguito e osannato, e
abbandonato persino dai suoi amici più vicini. Una sofferenza
indicibile. Vedere la croce nuda e venerarla in silenzio,
nella liturgia di oggi, fa vedere e sentire, nella sofferenza
di Gesù, l'accumulo di tutte le sofferenze umane, di tutti i
tempi, quelle fisiche, naturali o inflitte volontariamente, e
quelle morali, più invisibili e profonde, intime. Sto bene in
salute, ho tutto, e vengo chiamato a sentire in piccola,
piccolissima parte, il dolore del mondo, di tutte le creature
viventi. A sentire l'offesa fatta all'uomo giusto, all'uomo
buono; il disprezzo volontario, accanito o (forse peggio)
inconsapevole, di quanto c'è di buono, di vero, di bello,
nella vita. E' vivere la tragedia, che fa vacillare. Per
fortuna, e per la mia leggerezza, è una esperienza breve, poi
si passa ad altro, la giornata è fatta di tante cose. Ma
dentro resta un segno, indelebile. E la liturgia, la memoria
di Cristo, ci dice anche che il suo amore per tutti, senza
alcuna discriminazione, l'amore anche per i suoi aguzzini, è
stato superiore a tutto quel male; è ancora superiore,
vivente, più forte del male e della morte cattiva. La memoria
cristiana ci trasmette questo. Noi riceviamo, ascoltiamo,
vorremmo essere così semplici e umili da accogliere davvero,
per viverlo nelle cose di ogni giorno, questo amore di un uomo
come noi, più vivo di noi, così che il male non ci spaventi
più, e il bene non sia un sogno vuoto. Speriamo.
Enrico
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