Cosa resta dopo il 1989
Sull’articolo
di Dario Oitana nel numero scorso n. 466 de "il foglio" , novembre 2019 (www.ilfoglio.info) sul comunismo e il suo fallimento,
come sul referendum fallito del 2016 e sul Tav, la redazione ha molto
discusso. Come preannunciato, rendiamo partecipi i lettori di questa
varietà di idee. (a. r.)
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Se i poveri perdono la speranza
«Ora,
a distanza di mezzo secolo [dai caldi anni Sessanta], sembra che solo
“qualche cristiano” (forse un Papa) sia intenzionato a perseguire una
politica a favore dei più poveri. “Qualche cristiano” che segue il
cammino dei "comunisti perdenti", e cerca di tracciare una nuova via con
umile, gandhiana mitezza». La conclusione di Oitana è bella e la
condivido. Ma ‒ se non sbaglio ‒ tutto il tono del suo discorso è: il
sogno del comunismo era troppo, doveva necessariamente cadere. È
l'ideologia del bene che diventa male, dell'utopia che diventa
necessariamente violenza. Non l'accetto. Ci vorranno secoli, ma l'essere
umano è costituzionalmente creatore di u-topie giuste, di superamento
di se stesso e della sua storia. C'è del divino nell'uomo. Anche del
diabolico. Ma a cosa vogliamo guardare di più, dare spazio e voce? Come
leggere la storia? Un cammino accidentato verso la luce, o trappola di
topi condannati a scannarsi? (Sono due estremi, ma noi verso quale
ottica propendiamo: a quella che dà coraggio, speranza e impegno, o a
quella che tristemente registra il male invincibile?)
Non
era sbagliato il sogno comunista, ma l'imporlo. Dobbiamo rispettare e
onorare il sogno popolare del comunismo, la "speranza mal riposta" dei
poveri (Mazzolari). Mal riposta, deviata, deturpata dalla violenza, ma
speranza, virtù teologica presente nei poveri, non nei sistemati.
Papa
Francesco dice che la realtà vale più dell'idea, ma ha ragione solo se
si intende rispetto del grado attuale del cammino, senza forzarlo ad
essere ideale. Non ha ragione se si intende nel senso del realismo senza
ideali. Guardate la politica che ci rifilano: da un estremo all'altro è
piatto realismo morto, passivo.
La
realtà vista davvero è fermento, lievito, desiderio, creazione
ribollente, frenata e tappata da chi prende il potere (economico,
informatico, politico) come un oggetto che cresce solo in quantità, ma è
secco come scheletro senza vita. L'utopia è la realtà della realtà.
Uccidere l'utopia, e sostituirvi l'impresa lunare, la follia nucleare,
la sostituzione dell'uomo col robot, la comunicazione con
l'onni-controllo, è la morte dell'umanità. Queste quantità di potenza
sono il "mal di troppo", cioè il cancro della nostra attuale umanità. Ma
l'umanità cambierà, perché non è abbandonata alla propria follia. Dio
ha mille nomi, ma il suo migliore nome è "non-ti-abbandono". L'utopia
viva è che l'umanità viva ancora, contro questi nemici, riducendoli a
quel che sono, strumenti, come le scarpe che vanno dove decido io.
Io
credo che un foglietto come noi, un gruppetto, piccolo erede di grandi
eredità umane, deve dire anche contro i tempi, proprio contro i tempi,
cose come queste. Sul comunismo fallito dobbiamo dire che era nobile
programma incarnato rozzamente, semplicisticamente, astrattamente,
violentemente. Ma noi custodiamo l'idea: siamo uguali di valore, si vive
solo insieme, solo il bene di tutti è il bene di ciascuno. Dobbiamo
dire questo. Per urgenza di coscienza, e per dovere civile.
La
speranza dei poveri non è ottimismo dogmatico. Quando i poveri,
ingannati, perdono anche la speranza, tutto è perduto. Noi non siamo i
poveri, ma dobbiamo aiutarli a vedere che la speranza è più grande e
perpetua dell'inganno. Oggi bisogna essere comunisti, perché quel
comunismo sbagliato è fallito, dunque bisogna farne uno più vero.
Diciamolo.
Enrico Peyretti
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