Otto
passi fuori dalla barbarie
di
Enrico Peyretti (9641 battute)
Gandhi
non è soltanto quella curiosa figura di uomo mite e tenace, vestito
di pochi panni, per essere uguale ai più poveri del suo paese (tanto
che a Churchill – si dice – sembrava «un
fachiro seminudo»). Può darsi che, conoscendolo meglio, troviamo in
lui l'esperienza, il pensiero, la "grande anima" (Mahatma,
lo chiamava il suo popolo), in grado di proporre una via d'uscita,
una alternativa da elaborare, al gigantismo vorace e distruttivo del
modello di consumi e di vita occidentale, oggi esteso al mondo. Un
modello che, analizzato nei suoi termini più crudi ed essenziali,
appare, agli occhi più critici, una forma di barbarie, nonostante la
crosta brillante e presuntuosa, ed alcuni indubbi valori umanistici,
che del resto Gandhi seppe cogliere .
Giuliano
Pontara, da giovane, per non fare il soldato, evase dall'Italia e
fece l'immigrato in Svezia. Lavorando come vice-bidello in una
scuola, studiò da solo (Aldo Capitini gli correggeva i compiti per
corrispondenza), prese la maturità classica a Roma, studiò
filosofia a Stoccolma, fino a diventare docente universitario. Tra
vari lavori di filosofia analitica e filosofia pratica (da noi si
chiama morale), sviluppò il suo interesse per Gandhi, su cui ha
prodotto molti studi e, già nel 1973, ha raccolto la migliore
antologia italiana di scritti, Teoria
e pratica della non-violenza,
presso Einaudi, a cui lo presentò Bobbio.
Una spietata verità
Il
volume appena uscito, L'antibarbarie,
amplia, rivede e aggiorna una prima edizione del 2006 (ne pubblicammo
una recensione su il
foglio
nel n. 336, novembre 2006, p. 7). Che cosa dice Gandhi al presente
momento della società umana mondiale? Egli ha mosso una corrente di
morale e di pensiero, lunga e ampia, che oggi affronta
l'imbarbarimento notevole delle relazioni sociali e politiche.
Osserviamo anche da vicino questa barbarie, nel "linguaggio di
odio" nel nostro paese, nelle politiche come volontà di "pieni
poteri" (non lontana dal niciano Wille sur Macht), nel
nazi-populismo che scinde il genere umano in "sicuri e
respinti". E sul piano internazionale, invece della necessaria
solidarietà davanti ai comuni pericoli, nella sorte umana sempre più
indivisibile, vediamo opposte politiche di influenza a scopo di
speculazione finanziaria, di particolarismo suprematista, nella
follia dei crescenti armamenti.
È
proprio vero quel
che diceva Jacques Ellul nel 1972: «La
nostra, più che l'età della violenza, è l'età della
consapevolezza della violenza»? Non sempre, ma dove questa
consapevolezza c'è, attiva, costruttiva di antidoti e alternative,
la scuola di Gandhi è viva e preziosa. In questa linea, Pontara,
ricevendo da un suo maestro, Harald Ofstad, sintetizza l'essenza del
nazismo permanente e attuale in otto componenti caratteristiche di
questa micidiale ideologia:
1. la visione del mondo come
teatro di una spietata lotta per la supremazia; 2. il diritto
assoluto del più forte; 3. lo svincolamento da ogni limite morale;
4. l'elitismo (diritto di dominio che una
élite si attribuisce in quanto “superiore”); 5. il disprezzo
per il debole; 6. la glorificazione della violenza; 7. il culto
dell'obbedienza assoluta; 8. il dogmatismo fanatico.
Pericolosi
moderati
Accettiamo
questa spietata verità sul sistema di vita in cui siamo? Oppure lo
vediamo come il migliore dei mondi possibili, con qualche difetto
riparabile? Per Martin Luther King, il Gandhi americano, i "bianchi
moderati" erano più pericolosi del Ku klux klan (Lettera
dalla prigione di Birmingham,
16 aprile 1963). Le persone moderate, «con una superficiale
comprensione», indebolivano il movimento dei diritti civili e lo
spingevano ad accettare un intollerabile status quo. Lo richiama
Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale
(22-28/11/2019, p. 5), che cita il ricercatore statunitense Jamie
Aroosi: «Oggi siamo in una situazione simile». Tanto basta per
impegnarci a pensare a fondo.
Per
60 pagine, nel primo capitolo, Della
barbarie,
l'Autore illustra la realtà storica e le espressioni teoriche, fino
alle assolutizzazioni teologiche, di queste otto «componenti
essenziali dell'ideologia nazista»: atteggiamenti, eretti a
princìpi, di lacerazione della convivenza umana.
Da
questo punto, Pontara interroga ed esamina l'alternativa globale
proposta e praticata nella scuola gandhiana: l'uomo Gandhi, il
politico, il suo pensiero; i temi della verità, della religione,
della tolleranza e del perdono nella sua riflessione ed esperienza;
il valore e i limiti del rispetto per la vita; il concetto di
violenza e una gestione dei conflitti emancipata da tale mezzo, nella
necessaria coerenza tra mezzi nonviolenti e risultati umani, liberi
da sofferenza inflitta e da nuova sopraffazione.
Gandhi
è più scienziato sperimentatore che filosofo e politico. Nella
ricerca di verità e giustizia professa un "fallibilismo"
disposto a correggersi continuamente, pur teso ad una verità che sta
oltre ogni concezione che la cerca e la approssima, nella pluralità
delle vie culturali, civili, religiose. Egli dice di fare
«esperimenti con la verità» (titolo di un mio libretto elementare
su Gandhi), con fede in questa Verità che è Dio, che è l'unità
suprema di tutte le cose, e che egli scrive sempre con la maiuscola.
«È la mia devozione alla Verità che mi ha condotto alla politica»
(scrive nell'Autobiografia).
Nell'analisi
della linea gandhiana si incontra anche il suo appoggio eventuale
alla lotta violenta, ma sempre nella intensa chiarificazione della
strategia nonviolenta, e della trasformazione dei conflitti. Ognuno
di questi problemi è trattato da Pontara con riferimenti
all'esperienza storica del Mahatma, nella più ampia riflessione
critica.
Tutto
un capitolo, Una
società del benessere di tutti,
tratta il socialismo nonviolento di Gandhi. Crescendo da moderato a
rivoluzionario, per l'attuazione dei diritti umani, che vede
discendere dai doveri, egli ha individuato e avviato esperienze di
politiche e di economie dell'autosufficienza, dell'autocontrollo,
dell'autogoverno, alternative al superindustrialismo e allo
sfruttamento, in un quadro di armonia con la natura e di condivisione
sociale, di «benessere di tutti» (sarvodaya),
di ricostruzione della società dal basso. La grande proprietà
privata, che deve essere produttiva per i bisogni di tutti, deve
essere gestita come "amministrazione fiduciaria".
Uscire
dalla barbarie
Quello gandhiana non è il
sogno di alcune anime belle, ma una
linea da conoscere e considerare, nella fatica storica, oggi che la
crisi ambientale e il capitalismo predatore impongono profondi
ripensamenti per poter riuscire a salvarci dal disastro globale.
Così,
nell'ultimo capitolo, Pontara traccia i punti di una «uscita dalla
barbarie», le alte alaternative a quegli elementi essenziali di
nazismo visti all'inizio:
1. il mondo come teatro delle
forze costruttive; 2. il primato della democrazia; 3. la
subordinazione della politica all’etica;
4. l’umiltà dell’egualitarismo; 5. l’empowerment dei deboli;
6. la
dissacrazione della violenza; 7. la responsabilità della
disobbedienza; 8. il fallibilismo.
Se accostiamo a specchio le
due serie di punti vediamo quale rivoluzione culturale ci propone il
lascito di Gandhi, che non manca di camminare in alcuni esperimenti
di continua ricerca, educazione, azione.
Il libro di Pontara è stato
presentato vivamente da Pietro Polito e da Matrco Revelli, il 4
dicembre, nel Centro Studi Sereno Regis (la cui biblioteca contiene
le centinaia di libri di e su Gandhi). È seguita la discussione,
dalla quale raccolgo solo alcuni punti.
Pluralità delle vie
Come
volgere in
positivo il termine "nonviolenza" e lo stesso
"antibarbarie" (solo per meglio intenderci, pur sapendo che
non si modifica il linguaggio corrente)? Nonviolenza può dirsi
anche (forse meglio?) con "non-nocività", "in-nocività"
(che non è innocenza, qualità di chi, pur accusato, non ha
nuociuto). La violenza ha tante forme, materiali, psichiche,
culturali, che tutte sono offese o danni all'umano. Il nonviolento
gandhiano èvuole farsi sempre più capace di "non nuocere",
non fare danno, non infliggere sofferenza, non disprezzare, e così
cerca di alleggerire il mondo dal peso del dolore, anche
caricandosene, se necessario per trasformarlo.
Nel linguaggio di Gandhi si
trova "satyagraha", "forza della verità", che
esprime il mezzo costruttivo di lotta, quella verità profonda che
unisce tutte le cose, e dà la capacità anche di soffrire per
comporre l'unità nella diversità, senza nulla sopprimere, come
invece fa la violenza. E l'uscita dalla barbarie che cos'altro è se
non ritrovare il fondamento umano? Ma cosa è umano? Come risolviamo
l'amibiguità di male e bene, di miseria e grandezza, che è in tutti
noi? Gandhi non è semplicista. Assume tutta la realtà, e lotta
perché offesa, dolore, negazione, siano avvolte e risanate
dall'azione che riconosce e costruisce. Non è forse una politica
dell'amore, quella di Gandhi, se l'amore vuol dire rispetto,
accoglienza e liberazione della vitalità in tutti?
In modi e misure diverse, le
spiritualità e le religioni umane esprimono questa ricerca, tra
limiti e contraddizioni. Ma tutte, nella visione di Gandhi e dei suoi
discepoli, camminano su una pluralità di vie e unità di orizzonte.
Che nessuna via offenda l'altra, ma, nell'apprendimento reciproco,
nello stimolo della ricca e bella varietà, l'umanità cerchi la
propria umanizzazione, uscendo dalla vergogna del disconoscerci e
farci male.
Ma come riconosciamo, in noi e
negli altri, l'umano, ciò che è degno di rispetto, inviolabile,
perché supera se stesso, tende oltre e alto? «All
of our humanity is dependent upon recognizing the humanity in
others», dice Desmond
Tutu.
Giuliano
Pontara, L'antibarbarie.
La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo.
Edizioni Gruppo Abele, Torino 2019, pp. 347, euro 24,00
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