Giuliano
Pontara - QUALE PACE?
Sei
saggi su pace e guerra, violenza e nonviolenza,
giustizia
economica e benessere sociale Ed. Mimesis 2016, pp. 158, euro
16,00
Pubblicato
su Filosofia, Rivista annuale – Quarta serie – Anno LXII –
2017, pp. 175-177 (www.mimesisedizioni.it)
Questa
raccolta di scritti sulla pace, presentata in una decina di città
italiane, è una nuova bella occasione che l'Autore, già meritorio
per tanti lavori filosofici e raccolta di testi su nonviolenza e
pace, ci offre alla riflessione profonda su aspetti vari e seri del
problema pace. Con
rigore analitico, e con accurati dati quantitativi dei fenomeni,
l'Autore sviluppa diversi problemi.
Pontara
prende in esame l'opinione di Steven Pinker: «Può
darsi che oggi viviamo nell'era più pacifica dell'esistenza della
nostra specie» (nel libro Il
declino della violenza,
Mondadori 2013, originale 2011). Dopo una rapida rassegna delle
guerre in corso, dei terrorismi, dei sistemi di torture, dei
conflitti ambientali, delle tendenze naziste attuali (esaminate in
L'antibarbarie,
Edizioni Gruppo Abele, 2006),
Pontara
sostituisce al criterio di calcolo di Pinker (numero di vittime in
relazione alla popolazione mondiale, molto più numerosa che in
passato) quello meglio proporzionato, oggi usuale (il numero di morti
su 100.000 persone l'anno), in base al quale la guerra 1939-45
risulta la più violenta della storia umana. Inoltre, le violenze in
corso minacciano direttamente anche le generazioni future, sicché è
assai dubbio l'ottimismo di Pinker e assai certo il pericolo
aggravato dalle nuove tecnologie, dalla massiccia industria bellica,
dal rischio di guerra nucleare.
Dunque,
quale pace? Le “paci” che abbiamo studiato a scuola sono la
volontà del vincitore imposta al vinto: sono vere paci, o
sospensione della guerra, eppure reale sollievo da grandi sofferenze?
Per Pontara la pace è la proprietà di sistemi sociali che
potrebbero essere conflittuali e riescono ad evitare conflitti armati
(cfr p. 27). Tra le due nozioni di pace, quella più larga, o pace
negativa, cioè assenza di guerra, e la nozione più esigente e più
stretta, cioè pace positiva, assenza di ogni forma di violenza
(diretta, strutturale, culturale), Pontara sceglie di adottare la
prima nozione larga, in quanto più utile all'analisi, visto che la
seconda nozione stretta implica un giudizio di valore, una concezione
determinata della giustizia. Ciò è probabile che susciti
discussione, perché la peace
research
internazionale (che ha in Johan Galtung il maggiore esponente) è più
orientata verso la seconda nozione: pace come assenza di ingiustizie
e di culture violente. Però Pontara ammette che la questione del
superamento della guerra è legata alla riduzione sia delle gravi
ingiuste diseguaglianze (interne ai popoli, e mondiali), che riducono
la mobilità e la fiducia sociale e dunque la qualità della vita,
sia delle gravi minacce all'ambiente vitale.
Anche
Bobbio, a cui l'Autore dedica un capitolo, prediligeva il concetto di
pace come antitesi della guerra, ritenendo utopia un mondo senza
alcuna forma di violenza. Ma anche la politica di potenza armata e
minacciosa è una forma di guerra, diceva già Hobbes, e anche Kant
(sugli eserciti permanenti causa di guerre). «Finché esistono stati
esiste la guerra», dice Pontara in una discussione sul suo libro.
Bobbio vedeva in uno stato mondiale federale e democratico la
possibilità di pace permanente. Ma questo obiettivo è insidiato
dalle diseguaglianze economiche mondiali e dalle minacce all'ambiente
naturale. Le regole democratiche e l'equa distribuzione delle risorse
economiche favoriscono la gestione senza violenza dei conflitti
sociali. Per Bobbio realisticamente la nonviolenza possibile si
realizza nella democrazia. Ma è vero che tra loro gli stati
democratici non fanno guerre? Ne hanno fatte molte contro stati non
democratici – dunque, queste democrazie sono coerenti con
l'universalità dei diritti umani? - e ci sono anche vari esempi di
guerre tra democrazie (almeno formali) (cfr p. 68). È vero che
vivere in democrazia induce i cittadini a rinunciare alla violenza
verso altre democrazie? Si può sperare, ma nel nuovo millennio,
fino al presente, assistiamo ad una preoccupante “recessione di
democrazia”.
La
nonviolenza è un'alternativa? In attesa di uno stato mondiale
democratico, che tolga pretesti di conflitti bellici (ma sarebbe
sufficiente?), vanno considerate, come fa Pontara, le possibilità
dimostrate da lotte nonviolente nella liberazione da dittature e
imperialismi. Bobbio
vide, come pochi filosofi, l'importanza storica della nonviolenza
gandhiana, conosciuta tramite Capitini, ma non ne fu fautore
fiducioso, dato il suo realismo pessimista, sebbene impegnato a
pensare.
«È
eticamente giustificato violare diritti fondamentali di alcuni al
fine di tutelare quelli di altri?» (p. 36). È la questione
angosciante delle “guerre umanitarie”, delle “missioni di
pace”, dovendo tener conto che la guerra moderna è sempre più
“guerra totale” per la sua grande distruttività. Può
giustificare tali guerre la tradizionale dottrina del 'doppio
effetto', quello voluto e quello concomitante, non voluto? La
risposta non è facile. La proporzione tra le vittime previste,
quelle risparmiate e quelle collaterali causate, può essere un
criterio morale? Questo criterio giustifica, nel recente film Il
diritto di uccidere,
l'uccisione preventiva di alcuni terroristi pur
uccidendo un numero minore possibile di innocenti. Ma Pontara,
esaminate tre versioni della dottrina etica dei diritti umani (quella
assolutistica, quella del doppio effetto, quella
conseguenzialistica), conclude, con sette ragioni forti, che la
guerra moderna, in ogni sua forma, non è giustificabile (p. 48-50).
Solo la pace – disarmo, transarmo, difesa civile, diplomazia
civile, nonviolenza attiva - è la via alla pace.
Il
lettore che ama lasciarsi interrogare leggerà con interesse il
capitolo sul situazionismo, sulla “banalità” sia della violenza
sia della nonviolenza, cioè sul fatto che le circostanze e la
situazione influiscono sulle nostre scelte. In quale misura? Un bel
tema di ricerca e di riflessione.
Da
tutti i suoi studi di filosofia morale, Pontara dimostra di avere
come criterio morale l'utilitarismo classico, per il quale il giusto
è nel maggior bene di ciascuno, insieme al maggior bene di tutti. Il
valore che lo guida è la volontà di ridurre la sofferenza di tutti
gli esseri senzienti, compresi gli animali e i posteri non ancora
nati. Nel pensiero confuciano, il sentimento dell'umanità si esprime
nel bu
ren,
“non sopportare le sofferenze altrui”, valore che è espresso
anche nell'universale “regola d'oro”: agire o non agire verso gli
altri in base al principio che ogni altro vale come me nel diritto
che ha di essere rispettato nella sua sensibilità e nella sua
cultura umana.
Enrico
Peyretti, 3 febbraio 2017
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