Elezioni
Il
male minore,
il
“voto utile”
Tempo
di elezioni, cioè di eleggere chi vogliamo caricare del difficile
compito di legiferare e governare. Se non siamo di quelli del voto
di scambio, abbiamo da decidere chi, partiti e persone, merita
maggiore fiducia per idee e capacità in vista del bene comune.
Difficile decidere. Sarebbe comodo votare per appartenenza: penso
così, sono iscritto, ho fiducia, so già per chi votare. Ma quasi
metà degli italiani non si fida di nessuno e si astiene. Cioè, col
non votare vota per chi vince, gli piaccia o meno. Crede di non
pesare e invece pesa molto. Un partito, una lista, prende il 30% del
30% degli elettori, e si vanta di avere vinto col 30%. Gli astenuti
gli sono utili per creare l'apparenza della maggioranza. È
democrazia questa?
Altri
finiscono per scegliere il male minore, ai loro occhi, tra vari tipi
di male. Davvero siamo condannati a farci male, ma il meno possibile?
Oppure si ragiona sul “voto utile”: mi piacerebbe una lista e un
candidato che, lo so già, non vincerà, e allora, per non
disperdere il mio voto, pur con dispiacere, voto per il meno peggiore
tra gli altri, che ha possibilità di essere eletto. Il voto di
“testimonianza” non è utile perché non prende il potere. Ma è
proprio vero?
Immaginiamo
un paese con un pessimo governo. Per esempio, l'Italia sotto il
fascismo. Non si poteva votare, ma con coraggio e cautela si poteva
un po' fare opinione. Si sapeva chi non era fascista. In qualche
modo, in una simile situazione, è possibile esprimere e rendere
presente un'idea politica critica, positiva, e alternativa al regime.
Immagino
di essere un cittadino in democrazia che appoggia una proposta
politica critica, ma non basta: nelle elezioni l'idea resta del tutto
minoritaria, non acquista forza, non va al potere. Allora decido di
appoggiare, col mio voto, la componente più moderata del sistema che
non mi piace, per evitare il peggio. Nel periodo democristiano era il
famoso “turarsi il naso” di molti liberali, per evitare il
comunismo.
Nel
ventennio fascista, gli antifascisti coraggiosi e attivi, a caro
prezzo, non subivano il meno peggio, ma con la propaganda, con la
stampa clandestina, con le voci dall'estero, con la cultura, con
l'educazione dei giovani a scuola, col rifiuto di giurare perdendo la
cattedra, col rischio personale, in tutti i modi possibili,
rappresentavano una alternativa democratica: si poteva sapere che non
era fascista l'Italia intera. Porre una alternativa, anche se non
arriva al potere, è utile per manifestare e denunciare i limiti o il
danno del potere vigente, per far conoscere le riforme o i
cambiamenti radicali necessari. Da quegli antifascisti perdenti sono
maturate e nate Resistenza e Costituzione. Essere pochi non è
inutile. Davvero, parlando in generale, la scelta del male minore, e
del “voto utile”, è sempre la scelta giusta?
Porre
un'alternativa seria è una scelta utile a intaccare l'assolutezza
del consenso, entusiasta o rassegnato che sia. Si parla, si dichiara
e (dove è possibile) si vota, in una società, non solo per far
“vincere” una posizione, ma anche solo per farla vedere e sentire
presente, col valore che le riconosciamo. I vincitori di un
determinato momento non sono tutta la ragione possibile: c'è sempre
altro da pensare e conoscere, per procedere. Anche questo è “utile”,
non è “disperso”. La politica è solo vincere ai punti,
governare, o non è anche la lunga maturazione di idee e progetti sul
governare meglio, più giustamente? Ogni elettore dovrà rispondere a
se stesso (ma anche al suo popolo) su queste domande.
Enrico Peyretti (4 novembre 2017)
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