Per Nanni Salio
di
Enrico Peyretti - Pubblicato su Azione Nonviolenta, gennaio-febbraio
2017
Ci
rendiamo conto, sempre di più, di quanto abbiamo perso con la morte
di Nanni Salio. Ma lo abbiamo perso, oppure lo abbiamo avuto in
consegna? Il suo lascito è il suo lavoro, il suo spirito, la sua
persona, gli impulsi le idee e gli esempi che ha dato a noi. Nulla
vada perduto di ciò che vale. Non facciamo una celebrazione
dell'amico e guida, ma ci prendiamo in carico, per quanto possiamo,
con tanta gratitudine e responsabilità, ciò che ci affida. Oltre i
valori interiori, il materiale di lavoro che abbiamo in mano sono i
suoi scritti. Tra i molti, scelgo qui alcune pagine di appunti che
fece circolare tra noi del Sereno Regis a partire dal gennaio 2013,
«con
lo scopo di avviare una riflessione interna per giungere a elaborare
una possibile “visione”
condivisa delle finalità
che i soci del Centro Studi Sereno Regis, e di altre associazioni e
gruppi più vicini (MIR-MN, ASSEFA) si propongono di realizzare nel
breve e nel lungo periodo».
Entro questo documento, mi limito ora a riprendere e commentare
soltanto alcuni punti.
Scriveva
Nanni questa premessa: «Ho
avuto l'impressione, in molti casi, che non sia facile comunicare
qual è il nostro progetto: dipende dalla nostra poca chiarezza,
oppure non lo sappiamo formulare bene, oppure ancora continua a
esserci un pregiudizio verso la nonviolenza, intesa solo come
aspirazione personale, ma lontana da una effettiva capacità di
incidere nella realtà sociale?».
Effettivamente,
dall'esterno del nostro ambiente di ricerca la nonviolenza
certamente è intesa come garbo personale, mitezza di tratto e di
azione, ma quasi solo nel privato interpersonale. Credo davvero che
un punto primario del nostro lavoro sia:
a)
indicare e sperimentare la nonviolenza nelle relazioni larghe,
sociali, verso il “terzo sconosciuto”, cioè nell'ethos sociale,
ben al di là del “familismo” (fino al clan, alla consorteria)
che caratterizza la storia e la struttura della società italiana;
b)
modificare la concezione della politica statale-istituzionale
generalmente (non solo in Italia) legata per tradizione, quasi
inevitabilmente, alla violenza (v. libro di Krippendorff Stato
e guerra,
Gandhiedizioni 2008). C'è un vero indissolubile
“matrimonio”originario tra stato e guerra, rispetto al quale vale
moltissimo la dichiarazione (poco più che tale) di “ripudio”
(termine matrimoniale) della Costituzione italiana, art. 11 . Il
nostro lavoro teorico e storico sulla politica (struttura sociale e
istituzioni), e di stimolo all'evoluzione antropologica (nulla di
meno!) di emancipazione dal mito della violenza risolutiva, è il
punto importante, enorme, difficile, di lungo percorso, che ci
impegna.
1.
Al primo punto Nanni chiedeva: «Cosa
intendiamo per nonviolenza? Non possiamo dare per scontata la
risposta. Ci sono vari approcci, che sinteticamente individuo in due
assi:
agire
individuale/collettivo; motivazioni
religose-spirituali-esistenziali/politiche. Due
assi e quattro approcci
principali che non si escludono, ma pongono evidentemente alcuni
problemi
che vanno affrontati con chiarezza e profondità».
Mi
pare utile questa articolazione della complessa scelta nonviolenta.
Non è da vedervi una divaricazione, ma una preziosa complementarietà
tra i due assi. Essere cercatori di nonviolenza implica:
1)
una motivazione personale di valore profondo, che può essere
religiosa, umanistica, morale, comunque sempre seriamente interiore:
la decisione di non infliggere né ammettere sofferenza ingiusta: per
il filosofo confuciano Mencio (IV sec. a.C.) il sentimento umano è
«non
sopportare le sofferenze altrui». Il Samaritano del vangelo (Luca
10) è toccato «nelle viscere» dalla condizione dell'uomo ridotto
dai briganti «mezzo morto». Quella decisione
è messa alla prova nel quotidiano, nei rapporti e conflitti
familiari, sul lavoro, nella collaborazione, nella gestione di se
stessi, nei contatti sociali casuali;
2)
una disponibilità e impegno all'agire collettivo-politico, con mezzi
associativi e non dissociativi, di verità e non inganno, costruttivi
e non distruttivi, di ragione e dialogo e non di forza.
Queste
due componenti, personale e politica, possono, in ogni singola
persona, essere presenti con differente rilievo (chi vive più la
prima, chi la seconda), con i relativi problemi di equilibrio e
armonia, ma sono entrambe necessarie alla nonviolenza: né
spiritualismo appartato, che condanna la politica per i fatti di
malcostume, né politicismo senza etica. In effetti, i maggiori
maestri della nonviolenza hanno congiunto con saggezza queste due
dimensioni, indicando una realizzazione dell'umano intero: la persona
in relazione vitale con le altre persone, sia nella comunicazione
spirituale e culturale, aperta e plurale, sia nelle istituzioni
sociali democratiche, di confronto costruttivo, di trasformazione dei
conflitti, non di lotta spregiudicata.
2.
In un secondo punto, su Religioni,
spiritualità, politica,
Nanni osservava: «Tra
i soci e amici, amiche e simpatizzanti del CSSR ci sono approcci
che privilegiano una dimensione strettamente
religiosa
e altri una dimensione prevalentemente
laica.
Il terreno comune è, ovviamente, quello di una ricerca spirituale,
esistenziale, di produzione di senso. Ma occorre approfondire, nel
rispetto reciproco di storie personali e approcci diversificati».
E qui citava opportunamente Raimon Panikkar:
«Tre
grandi tradizioni si incontrano e si intrecciano nella nostra epoca:
la tradizione teista, in particolare quella monoteista, la
tradizione... non-teista, specialmente quella buddhista, e una
tradizione con due teste, quella secolare e quella atea. Il loro
inevitabile incontro produce ondate che possono far naufragare molte
imbarcazioni individuali, come pure maremoti capaci di travolgere
interi popoli. L'homo
religiosus
tradizionale dei primi due gruppi deve vedersela con l'homo
saecularis
per verificare insieme se per caso possono incontrarsi nel
riconoscimento di una realtà, senza per questo dover spostare il
centro di gravità verso una pura trascendenza (sia pure intesa come
immanente) o dirigere la propria vita verso quanto è semplicemente
empirico (sia pure inteso come futuro)».
(Raimon Panikkar, Il
silenzio del Buddha.
Un a-teismo religioso, Mondadori, Milano 2006, p. 31).
A
me pare che questa
pluralità di accenti, religioso e laico, sia un valore del nostro
gruppo di lavoro come dei nostri movimenti organizzati, un valore che
sarebbe minore se fosse presente uno solo dei due accenti. Panikkar
vede la realtà cosmoteandrica (mondo-dio-uomo) con uno sguardo
apertissimo, largamente comprensivo, perciò educativo alla pace
profonda. A proposito, vorrei citare qui un altro suo pensiero
simile, nel quale, come sempre, cerca la composizione e correzione
plurale-armonica (non un piccolo compromesso) tra le diverse parti
armonizzate della realtà:
«Forse le religioni dovrebbero concentrarsi meno sul nirvana, la mukti, la salvezza, il cielo e così via, cioè sul successo, e concentrare i propri sforzi sull'obiettivo di guarire le ferite umane, curare le piaghe storiche dell'umanità: in una parola sulla cultura di pace più che sulla predicazione della salvezza» (Raimon Panikkar, intervista rilasciata nel 2006, in Jesus n. 12, 2006, e in Brunetto Salvarani, Il fattore R. Le religioni alla prova della globalizzazione, Emi, Bologna 2012, p. 135). Questa osservazione di Panikkar, concorde con quella citata da Nanni, è un tipico pensiero nonviolento, perché non è separatore, ma unitivo senza confusione. La pace, per lui, non è il monismo (l'impero unico, l'uniformazione forzata a scapito della varietà, la Torre di Babele, titolo del suo libro su pace e pluralismo,) e neppure il dualismo (la differenza irriducibile, opposta, disarmonica, incompatibile: pace di separazione). È l'armonia delle differenze. Come diceva anche Tonino Bello. Vorrei far notare che oggi, nel mondo delle religioni, come in un gorgo fluviale, si accavallano due correnti opposte: da una parte integralismi capaci di violenza sia dottrinale, sociale, sia persino fisica, e dall'altra incontro, conoscenza, dialogo, cooperazione tra le religioni sempre più conviventi negli stessi paesi. Il primo fenomeno fa paura e sangue, ma va verso l'isolamento, mentre il vero movimento in avanti è il dialogo interreligioso, realtà crescente e positiva, motivo di speranza attiva nel mondo attuale. L'unità profonda delle religioni, sottostante alla «pluralità delle vie» (Pier Cesare Bori, da Pico della Mirandola), è la difesa e la realizzazione dell'umano, in tutte le persone. L'autenticità umana è pensata in diversi modelli, ma è un «concetto generativo» (Roberto Mancini) che supera i modelli storici mentre opera intimamente nel midollo della storia. Più che un progetto definito l'umanità nonviolenta è un fermento, che freme nelle religioni e profezie, come nelle culture e nelle politiche umanistiche. Non per nulla la nostra «ricerca, educazione, azione», termini cari a Nanni, non è un dato, ma un “movimento”. Enrico Peyretti, 26 settembre 2016
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