sabato 30 dicembre 2017

Per Nanni Salio 
di Enrico Peyretti - Pubblicato su Azione Nonviolenta, gennaio-febbraio 2017

Ci rendiamo conto, sempre di più, di quanto abbiamo perso con la morte di Nanni Salio. Ma lo abbiamo perso, oppure lo abbiamo avuto in consegna? Il suo lascito è il suo lavoro, il suo spirito, la sua persona, gli impulsi le idee e gli esempi che ha dato a noi. Nulla vada perduto di ciò che vale. Non facciamo una celebrazione dell'amico e guida, ma ci prendiamo in carico, per quanto possiamo, con tanta gratitudine e responsabilità, ciò che ci affida. Oltre i valori interiori, il materiale di lavoro che abbiamo in mano sono i suoi scritti. Tra i molti, scelgo qui alcune pagine di appunti che fece circolare tra noi del Sereno Regis a partire dal gennaio 2013, «con lo scopo di avviare una riflessione interna per giungere a elaborare una possibile “visione” condivisa delle finalità che i soci del Centro Studi Sereno Regis, e di altre associazioni e gruppi più vicini (MIR-MN, ASSEFA) si propongono di realizzare nel breve e nel lungo periodo». Entro questo documento, mi limito ora a riprendere e commentare soltanto alcuni punti.

Scriveva Nanni questa premessa: «Ho avuto l'impressione, in molti casi, che non sia facile comunicare qual è il nostro progetto: dipende dalla nostra poca chiarezza, oppure non lo sappiamo formulare bene, oppure ancora continua a esserci un pregiudizio verso la nonviolenza, intesa solo come aspirazione personale, ma lontana da una effettiva capacità di incidere nella realtà sociale?».
Effettivamente, dall'esterno del nostro ambiente di ricerca la nonviolenza certamente è intesa come garbo personale, mitezza di tratto e di azione, ma quasi solo nel privato interpersonale. Credo davvero che un punto primario del nostro lavoro sia:
a) indicare e sperimentare la nonviolenza nelle relazioni larghe, sociali, verso il “terzo sconosciuto”, cioè nell'ethos sociale, ben al di là del “familismo” (fino al clan, alla consorteria) che caratterizza la storia e la struttura della società italiana;
b) modificare la concezione della politica statale-istituzionale generalmente (non solo in Italia) legata per tradizione, quasi inevitabilmente, alla violenza (v. libro di Krippendorff Stato e guerra, Gandhiedizioni 2008). C'è un vero indissolubile “matrimonio”originario tra stato e guerra, rispetto al quale vale moltissimo la dichiarazione (poco più che tale) di “ripudio” (termine matrimoniale) della Costituzione italiana, art. 11 . Il nostro lavoro teorico e storico sulla politica (struttura sociale e istituzioni), e di stimolo all'evoluzione antropologica (nulla di meno!) di emancipazione dal mito della violenza risolutiva, è il punto importante, enorme, difficile, di lungo percorso, che ci impegna.
1. Al primo punto Nanni chiedeva: «Cosa intendiamo per nonviolenza? Non possiamo dare per scontata la risposta. Ci sono vari approcci, che sinteticamente individuo in due assi: agire individuale/collettivo; motivazioni religose-spirituali-esistenziali/politiche. Due assi e quattro approcci principali che non si escludono, ma pongono evidentemente alcuni problemi che vanno affrontati con chiarezza e profondità».
Mi pare utile questa articolazione della complessa scelta nonviolenta. Non è da vedervi una divaricazione, ma una preziosa complementarietà tra i due assi. Essere cercatori di nonviolenza implica:
1) una motivazione personale di valore profondo, che può essere religiosa, umanistica, morale, comunque sempre seriamente interiore: la decisione di non infliggere né ammettere sofferenza ingiusta: per il filosofo confuciano Mencio (IV sec. a.C.) il sentimento umano è «non sopportare le sofferenze altrui». Il Samaritano del vangelo (Luca 10) è toccato «nelle viscere» dalla condizione dell'uomo ridotto dai briganti «mezzo morto». Quella decisione è messa alla prova nel quotidiano, nei rapporti e conflitti familiari, sul lavoro, nella collaborazione, nella gestione di se stessi, nei contatti sociali casuali;
2) una disponibilità e impegno all'agire collettivo-politico, con mezzi associativi e non dissociativi, di verità e non inganno, costruttivi e non distruttivi, di ragione e dialogo e non di forza.
Queste due componenti, personale e politica, possono, in ogni singola persona, essere presenti con differente rilievo (chi vive più la prima, chi la seconda), con i relativi problemi di equilibrio e armonia, ma sono entrambe necessarie alla nonviolenza: né spiritualismo appartato, che condanna la politica per i fatti di malcostume, né politicismo senza etica. In effetti, i maggiori maestri della nonviolenza hanno congiunto con saggezza queste due dimensioni, indicando una realizzazione dell'umano intero: la persona in relazione vitale con le altre persone, sia nella comunicazione spirituale e culturale, aperta e plurale, sia nelle istituzioni sociali democratiche, di confronto costruttivo, di trasformazione dei conflitti, non di lotta spregiudicata.

2. In un secondo punto, su Religioni, spiritualità, politica, Nanni osservava: «Tra i soci e amici, amiche e simpatizzanti del CSSR ci sono approcci che privilegiano una dimensione strettamente religiosa e altri una dimensione prevalentemente laica. Il terreno comune è, ovviamente, quello di una ricerca spirituale, esistenziale, di produzione di senso. Ma occorre approfondire, nel rispetto reciproco di storie personali e approcci diversificati». E qui citava opportunamente Raimon Panikkar:
«Tre grandi tradizioni si incontrano e si intrecciano nella nostra epoca: la tradizione teista, in particolare quella monoteista, la tradizione... non-teista, specialmente quella buddhista, e una tradizione con due teste, quella secolare e quella atea. Il loro inevitabile incontro produce ondate che possono far naufragare molte imbarcazioni individuali, come pure maremoti capaci di travolgere interi popoli. L'homo religiosus tradizionale dei primi due gruppi deve vedersela con l'homo saecularis per verificare insieme se per caso possono incontrarsi nel riconoscimento di una realtà, senza per questo dover spostare il centro di gravità verso una pura trascendenza (sia pure intesa come immanente) o dirigere la propria vita verso quanto è semplicemente empirico (sia pure inteso come futuro)». (Raimon Panikkar, Il silenzio del Buddha. Un a-teismo religioso, Mondadori, Milano 2006, p. 31).
A me pare che questa pluralità di accenti, religioso e laico, sia un valore del nostro gruppo di lavoro come dei nostri movimenti organizzati, un valore che sarebbe minore se fosse presente uno solo dei due accenti. Panikkar vede la realtà cosmoteandrica (mondo-dio-uomo) con uno sguardo apertissimo, largamente comprensivo, perciò educativo alla pace profonda. A proposito, vorrei citare qui un altro suo pensiero simile, nel quale, come sempre, cerca la composizione e correzione plurale-armonica (non un piccolo compromesso) tra le diverse parti armonizzate della realtà:
«Forse le religioni dovrebbero concentrarsi meno sul nirvana, la mukti, la salvezza, il cielo e così via, cioè sul successo, e concentrare i propri sforzi sull'obiettivo di guarire le ferite umane, curare le piaghe storiche dell'umanità: in una parola sulla cultura di pace più che sulla predicazione della salvezza» (Raimon Panikkar, intervista rilasciata nel 2006, in Jesus n. 12, 2006, e in Brunetto Salvarani, Il fattore R. Le religioni alla prova della globalizzazione, Emi, Bologna 2012, p. 135).
Questa osservazione di Panikkar, concorde con quella citata da Nanni, è un tipico pensiero nonviolento, perché non è separatore, ma unitivo senza confusione. La pace, per lui, non è il monismo (l'impero unico, l'uniformazione forzata a scapito della varietà, la Torre di Babele, titolo del suo libro su pace e pluralismo,)  e neppure il dualismo (la differenza irriducibile, opposta, disarmonica, incompatibile: pace di separazione). È l'armonia delle differenze. Come diceva anche Tonino Bello. 
Vorrei far notare che oggi, nel mondo delle religioni, come in un gorgo fluviale, si accavallano due correnti opposte: da una parte integralismi capaci di violenza sia dottrinale, sociale, sia persino fisica, e dall'altra incontro, conoscenza, dialogo, cooperazione tra le religioni sempre più conviventi negli stessi paesi. Il primo fenomeno fa paura e sangue, ma va verso l'isolamento, mentre il vero movimento in avanti è il dialogo interreligioso, realtà crescente e positiva, motivo di speranza attiva nel mondo attuale. L'unità profonda delle religioni, sottostante alla «pluralità delle vie» (Pier Cesare Bori, da Pico della Mirandola), è la difesa e la realizzazione dell'umano, in tutte le persone. L'autenticità umana è pensata in diversi modelli, ma è un «concetto generativo» (Roberto Mancini) che supera i modelli storici mentre opera intimamente nel midollo della storia. Più che un progetto definito l'umanità nonviolenta è un fermento, che freme nelle religioni e profezie, come nelle culture e nelle politiche umanistiche. Non per nulla la nostra «ricerca, educazione, azione», termini cari a Nanni, non è un dato, ma un “movimento”.
     Enrico Peyretti, 26 settembre 2016



 

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