Morire
e vivere, e la politica
16 ottobre 2017
Noi
siamo attesa, tensione, siamo desiderio e bisogno, siamo evoluzione e
trascendenza, necessità di superarci («L'homme
dépasse l'homme»),
proiezione sempre incompiuta, utero vuoto da colmare di vita,
cambiamento continuo di ciò che resta
ma non resta, passa e non passa, viene e non viene. Siamo
in-quietudine, mai a riposo è il nostro cuore. Noi non siamo una
fine, ma siamo per un fine. Siamo sempre all'origine, all'atto di
nascere. Siamo una tale volontà di vita che anche morire dovrà
essere un nascere. Siamo l'incompiutezza che deve compiersi,
altrimenti è morta. O non siamo, ma solo sembriamo, il fenomeno
umano, oppure siamo questo germe di infinito nel finito. Si muore
solo se si accetta di morire, se si cessa di nascere. Noi siamo così
mortali, finiti, e inaccettabilmente finiti, da non poter morire.
Siamo così piccoli da essere schiacciati da un vapore nell'aria, e
così grandi da contenere il cielo e tutte le stelle. Noi
siamo desiderio e passione.
Conviene
sapere una cosa e anche l'altra. C'è anche una filosofia del finito,
un'antropologia dell'uomo che appare e scompare: sia il singolo, sia
forse l'intera specie. L'essere umano riflette, si guarda, è sano se
non si accetta com'è: dunque, se sono finito sono infinito, se sono
infinito sono finito. Dibattersi e spostarsi è essere uomo, altro
prodigio dal prodigio pianta.
L'intelligenza,
quando c'è, fa un po' di luce sulla via che stiamo percorrendo, ma
non traccia altre vie. L'organo del sentire, del tastare anche nel
buio, arriva più in là: ciò che attendiamo, ciò che sentiamo.
L'udito del cuore è assai più acuto di quello delle orecchie. La
vista del terzo occhio invisibile è assai più lungimirante di
quella dei due occhi sulla faccia. Ciò che sappiamo, che abbiamo
visto, studiato e imparato, analizzato e interpretato, è assai poco
rispetto a ciò che, ignoto, ci attira. Troppa "pre-cisione"
scientifica riduce la realtà, la "taglia" in anticipo.
Siamo attirati, più che spinti e diretti dalla nostra volontà e
scelta, dal nostro sapere. Siamo passione, che è una passività
creativa, che ci accresce, ci porta avanti, ci fa patire ciò che non
raggiungiamo, per farci andare ad esso. Chiamiamo tutto ciò
felicità, e ci diciamo a vicenda, mentendo per paura e rinuncia, che
la felicità è irraggiungibile, mentre, dentro di noi, segretamente,
sappiamo che non c'è altro da cercare e da raggiungere che la
felicità, senza la quale saremmo qui come fantasmi vuoti, non
saremmo mai nati, saremmo nulla. Nonostante i delitti umani, siamo in
sostanza sete di verità e di bene. Vedete che non cerchiamo altro,
anche sbagliando, anche facendoci male?
Provo
a pensare che la vita in società – nel rispetto della libera
persuasione di ognuno - possiamo e dobbiamo ispirarla a questa che è
la grandezza dell'uomo, e anteporla alla presa di potere (il potere,
per fare che cosa?). È da buttare via questa idea, niente affatto
nuova, soltanto messa oggi da parte? È ben indirizzata, anche nella
nostra mente, la politica attuale? No, non ha direzione, non è
attratta e orientata da un valore umano. Parla di democrazia e
diritti umani, poi brama il potere: forse per realizzarli? No, non è
ben diretta, perché il potere spegne l'idea, ottunde l'intelligenza:
è una palla di piombo legata alle caviglie del cammino e alle ali
della mente. Vogliamo dire, più moderatamente, che la politica non è
attratta abbastanza dai valori umani? Diciamo pure così. Fatto sta
che ben spesso li offende e ne fa strumento. Vogliamo dire, più
decisamente, che la politica, l'arte indispensabile di vivere insieme
– altrimenti nessuno vive – non è ancora nata nella storia
dell'evoluzione umana? Non è nata perché, concepita nell'utero
insano della supremazia degli uni sugli altri, è abortita e marcita.
Si è fatta la regola “o si domina, o si è dominati”; ha
separato noi-voi, noi-altri, e proprio in ciò ha fatto consistere il
concetto di politica; ha posto uno o alcuni nell'indecente funzione
di comandare agli altri; ha inventato le armi e la guerra, e se ne è
fatta struttura portante, malattia mortale, cancro dorsale. La
politica non è mai nata: al suo posto è nato il dominio. Al suo
posto, abbiamo la cosa oggi chiamata politica: una contraffazione, un
fallimento.
Ma
disperare è sbagliato, è consacrazione dell'errore. Detta una cosa,
bisogna dirsi anche il contrario. La modernità ha concepito una
dignità dell'uomo, tacendo il Dio antico.
«Ciò
che è dato al cielo è tolto alla terra». I cristiani si sono
offesi, hanno gridato alla bestemmia e alla rovina. Poi si sono
lentamente ricordati che quel dio che Gesù ha rivelato nel suo modo
di vivere, si è nascosto nella terra e nella carne umana, e che,
dunque, difendere questa, e venerare questa, è venerare quel Padre.
I cristiani stanno facendo pace con un mondo che tace di Dio, o lo
eclissa. Vedono che rispettare, nella politica, la uguale dignità di
ogni uomo, sarebbe attuare la vita buona sulla terra di tutti. I
cristiani, come ogni umanista, esigono una politica dei diritti
umani, dunque di giustizia e di pace. Possono concordare nell'agire
con chi, senza vedere tracce di infinito nella persona umana, vi vede
però una insopprimibile esigenza di rispetto, di inviolabilità,
almeno per non infliggerci sofferenza. Venerare la persona perché è
il breve volo di un giorno, o perché è l'immagine di una Vita più
grande, non cambia nella pratica, si può fare insieme. Soltanto che
si sappia e si senta, insieme, che la politica non è esercitare un
potere sui popoli, ma servirli sottoponendosi.
La
politica reale, oggi, è deforme e offensiva, ma l'uomo è
correggibile, sanabile, autoevolubile, incontra luci. Riformarci
alla radice è la cosa più pratica. La morale è politica e la
politica è morale, chcché ne dicano i mestieranti.
Ne
parleremo all'infinito, non per coincidere, ma per capirci meglio,
anche con prospettive e accenti un po' differenti. Noi siamo
infiniti, come il nostro dis-correre. Ciò che importa è che
discorriamo insieme.
e.
p.
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