1 gennaio 2020
Fare o pensare?
Fare o pensare? Ovvio, non è un'alternativa. Ma, di fatto, è spesso una separazione. Oggi si vuole una scuola che insegni a lavorare, che dia competenze, il saper fare. E chi dice di no? Ma è un buon lavoro quello fatto senza saper pensare? Pensare non è solo la capacità di costruire un ponte che non crolli (il minimo per un ponte decente, onesto), ma è, oltre il ponte fatto bene, sapere e pensare in quale insieme di vita e di significati giusti e umani quel ponte entra in funzione.
Pensare è interrogarsi, un passo oltre il saper fare: "Perché lo faccio?" L'interrogativo è più importante della risposta, che può nascere solo dalla domanda, dalla fecondità del non sapere, dal travaglio dell'ignoranza viva e pregna perché curiosa. Il pensiero è interrogativo. Proibire le domande è proibire l'umano.
Fare senza pensare è come lo schiavo nell'anima, come il soldato che obbedisce, funziona, e uccide, senza coscienza di sé e degli altri. Anche pensare senza fare, non va bene. Anche il poeta e il pittore, il filosofo e l'astrofisico, devono rendersi utili, almeno dando piacere, almeno insegnando ad altri il loro sapere, la loro arte, almeno proponendo domande e misteri, tra tante certezze.
Sapere non è accumulare conoscenze, né abilità. Come ogni parola, sapere (verbo e sostantivo) ha un grappolo di significati (ogni parola è un albero con radici e rami e fiori, in una foresta di creature sonore). Oltre conoscere, sapere vuol dire anche capire, avere consapevolezza (coscienza), essere saggio, avere sapore, dare e sentire un gusto, buono o cattivo. Non si ha né si trasmette un sapere senza tutto ciò, con la mente, le mani, la lingua, gli occhi, la pelle, e tutti i sensi.
L'insegnante deve trasmettere quello che già sappiamo, ma accanto a lui ci vuole il ricercatore senza vincoli che indaga, curioso, nel grande campo di quel che non sappiamo. E ogni scolaro, ogni studente, deve imparare, ma anche almeno un po' ricercare.
Non c'è un fare umano se non è più del saper fare: cioè capire cosa faccio, farne esperienza e trarne saggezza, gustarne il sapore, pagarne liberamente il prezzo della fatica, goderne il valore e la bellezza. Senza tutto ciò, il lavoratore è uno schiavo ben allenato, e disumanizzato: ma un robot è più bravo di lui, perché non rischia di pensare.
Certamente, la politica deve creare occasioni di lavoro e degno salario, e la scuola deve dare capacità corrispondenti, per la vita giusta di tutti. Ma, perché sia lavoro umano, deve crescere in compagnia del sapere, di tutti i significati del sapere. La scuola deve educare tutta intera la persona umana: fare cultura è coltivare tutte le dimensioni umane: dall'utile, al gratuito, al bello, al vero, al giusto, al buono. Non solo l'utile. I ragazzi che oggi si svegliano dall'imbambolamento che gli abbiano somministrato, in sostanza forse chiedono questo. Saremo capaci di rispondere?
E. P.
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