Enrico Peyretti marzo 2020
Cultura contro paura
Condivido l'appello all'impegno - leggetelo! - di Pietro Polito, amico, direttore del Centro Gobetti. Condivido il richiamo alla responsabilità degli intellettuali e la denuncia dell’indifferenza. (Francesco denuncia la "globalizzazione dell'indifferenza" fin da Lampedusa nel 2013).
La paura, sì, è sana, ci avvisa, il pessimismo no. Non ci sono "argomenti" contro la previsione del peggio. C'è la volontà, sopra l'analisi di realtà. C'è quella radice della volontà, che è la fede.
Quella fede del tuo e nostro Piero Gobetti. Non solo la fede religiosa, intesa come adesione ad una dottrina trasmessa da una tradizione-istituzione-apparato clericale. Senza disprezzo per questa - che, nel suo meglio, è stata ed è di aiuto a molti a reggere la vita e anche a farla fruttare in azioni di soccorso umano - penso a quella fiducia di fondo che suscita e motiva l'impegno reciproco, che ci impedisce la fuga vigliacca, il cieco salvarsi da soli.
C'è una luce in ogni uomo, per la quale ci riconosciamo, e ci sentiamo obbligati l'uno verso l'altro: luce da onorare, difendere, venerare, riscoprire sempre, attraverso tutti gli obnubilamenti e tradimenti. Ogni pensiero serio se ne fa un concetto, un'idea, tutte nobili e approssimative.
Per la mia educazione, io la trovo espressa, in modo eminente, non oggettivabile, in quel versetto del vangelo di Giovanni (1,9): "... la luce vera, che illumina ogni uomo". Vera non perché afferrata in una dottrina contro altre dottrine, ma perché, in una aperta pluralità di riflessi, si ritrova i tutti i tentativi umani, attraverso i tempi e gli spazi, di cogliere la dignità che è in ognuno, e ad ognuno conferisce quella inviolabilità, che neppure i nostri crimini cancellano. Le culture, le filosofie, le arti, cercano e un poco riescono a dire, nella pluralità e analogia dei linguaggi, questa luce, questo valore, che vanno difesi dalla morte, e difesi ancor più dalle offese e abbandoni e violenze che ci facciamo, e difesi dalle rovine che, stolti e feroci, provochiamo nel mondo, casa comune preziosa e fragile.
Queste righe improvvisate, eco sincera e semplice al tuo forte appello invitano a fare uso salutare della paura. Come tu dici: cultura contro la paura.
Diciamo ai nostri amici e maestri, lavoratori della cultura, della scuola, che aiutino energicamente tutti, tutta la gente pericolosamente impaurita, a vedere chiaro. Ma diciamo anche a tutti che la cultura non è solo la crescita di conoscenze, importante e necessaria; la cultura è coltivazione dell'umano in noi, tra noi tutti. Quella preziosa luce, o valore, va riconosciuto, curato come fiore che dia frutti di umanità.
Ci sono gli intellettuali, più o meno felicemente operosi nel loro servizio all'umano. E ci sono anche gli "incolti intelligenti" (diceva Michele Do) che non sanno maneggiare libri, ma sono capaci di capire l'umano, di difenderlo, di soffrirne e ripararne le offese. Tanti di questi veri operatori di cultura umana, sono finora bersagliati, se non corrotti, dalla falsa "cultura" del possesso e della rivalità, di una antropologia antropofaga, di rivali e non di soci, che ci fa nemici. Una autentica cultura dell'umano, sia elaborata, sia intuitiva e vitale, ci è necessaria per uscire dall'abisso che si è aperto davanti a noi, eppure salutare avviso per vedere il disastro del disumano, e ritrovare l'umano.
Tessiamo relazioni di impegno e sostegno tra i tanti che cercano, come aria da respirare, l'uscita dalla ignorante e violenta manipolazione del mondo e di noi stessi.
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