sabato 14 novembre 2020

 

I - Diminuire consentendo

Enrico Peyretti

Pubblicato su Rocca n. 14, 15 luglio 2020

Michele Do (1918-2005), grande spirito cristiano e universalista, discepolo di Mazzolari e di Sorella Maria, era un prete vissuto per cinquant'anni a St. Jacques d'Ayas, villaggio valdostano, come rettore di quella piccola chiesa. Quando vi andò, nel 1945, non c'era ancora la strada, ma non visse affatto isolato. Attorno a lui nacque una grande rete, non solo italiana, di amicizia tra persone di ogni viva spiritualità, anche non credenti. Non scrisse nulla, ma qualcosa delle sue riflessioni e preghiere è stato raccolto dagli amici, in alcuni libri. È noto e diffuso il suo Credo (pubblicato anche su Rocca). In età avanzata, espresse la sua preparazione a morire nel motto: «Diminuire consentendo. Consentire con animo sereno. Distacco appassionato». Non dice qui la sua fede nella vita in Dio, ma una dignità umana che né resiste né cede alla fatalità del morire. «Diminuire consentendo»: chi, come me, vive il cammino di invecchiamento, trova qui una guida saggia. Consentire alla diminuzione delle forze e delle possibilità non è facile. Ma non è rinuncia a vivere né rassegnazione passiva, semmai è l'opposto della ostinazione ridicola e ribelle alla natura; non è distacco dalle buone passioni, non è rinuncia ad esprimersi (sia pure in un mondo che parla linguaggi sempre più differenti dal nostro), non è sentirsi inutili, pur lasciando spazio alle generazioni successive, anche col desiderio, senza presunzione, di dare qualcosa di vivo a chi cresce dopo di noi. Consentire al diminuire è accettare di stare al margine, di tacere un po' (se ci riesci…), di lasciar fare a chi viene, di continuare a imparare, di cambiare i propri schemi. Michele Do lo ha fatto: ogni incontro con lui, fino agli ultimi, era un ricevere vita da uno spirito vivo.

L'ultimo De senectute è quello di Bobbio, ma è pensiero di tutti. Si leggono sia elogi che disprezzi della vecchiaia, ed entrambi ci lasciano perplessi. Il timore più grande non è la morte, ma la malattia lunga e la decadenza. Il maggiore desiderio è conservare la dignità e il rispetto, tanto più in questi tempi di cambiamenti vorticosi. La sapienza popolare, in tutte le tradizioni, se ne è presa cura: «Anche se perdesse il senno, compatisci tuo padre e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore» (Bibbia, Siracide 3,13). Quando l'evoluzione culturale era lenta o lentissima, il vecchio era un tesoro di esperienza a favore di tutti. Oggi resta indietro, come il ciclista che ha bucato. La vita è velocità, e la lentezza è condannata. Se è anche un po' sordo, per lui è solitudine. In alcuni casi si è lasciato che la pandemia ripulisse la società dai più vecchi e deboli. Giustamente si segnala l'emarginazione sociale di chi non ha saputo o voluto imparare l'uso della rete. Fino al cellulare arrivano molti, ma a internet non tutti. Magari l'escluso ne ostenta disprezzo, ma si sente più analfabeta del nipotino alle elementari. È una più grande pena vedere persone intelligenti, colte, a volte anche studiosi e docenti, perdere la memoria e la comunicazione. Il rischio è di tutti ed è sempre molto penoso: troppo difficile consentire interiormente! Conosco un tale che prega Dio contro la propria decadenza chiedendo «vita lunga e morte breve». Lo sa anche lui che è una preghiera un po' pretenziosa.... Ho letto che Jacques Maritain scrisse sulla porta della sua stanza: «Se la sua testa non funziona più lasciatelo ai suoi sogni». L'ho scritto anch'io sulla mia porta. Almeno sognare… Si fa con quel che ci resta, come dice Zanardi.

Ma quel motto di don Michele è triplice: «Diminuire consentendo. Consentire con animo sereno. Distacco appassionato». L'ho incollato sul mio computer. Non solo consentire, ma «con animo sereno». Non da vinti, non con rabbia. Cosa vuol dire mantenere serenità dell'animo acconsentendo a diminuire? Qui finisce lo spazio della pagina. Ci sarebbe anche da intendere «distacco appassionato». Cosa può significare? Chi per caso legge, rifletta, e semmai ne riparleremo.

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