Per un compleanno (è su il foglio n. 465, ottobre 2019)
Noi diciamo “compleanno”, cioè: “hai completato un altro anno; ce l'hai fatta; avanti!”. E ti facciamo gli auguri, insieme ai complimenti, perché tu possa campare ancora, e anche meglio: “Ad multos annos!”.
I tedeschi e gli inglesi dicono “giorno della nascita”, cioè natale, quello che noi diciamo solo di Gesù di Nazareth. Quella tua data annuale è il tuo natale. È festa perché sei nato. Non c'eri, eri niente, e poi sei nato. Ma questo è straordinario. Non è tanto che sei sopravvissuto, seppure invecchiando, un anno ancora, un anno in più. Lo straordinario è che sei nato. Sei comparso dal nulla. Certo, biologicamente lo sappiamo bene: i gameti dei tuoi genitori. Ma di te anche loro non sapevano nulla: potevano desiderare un figlio, una figlia. Ma del tuo intero essere, di persona unica, nessuno poteva sapere, prevedere nulla. Nessuno è uguale a te, né prima, né dopo.
L'origine è mistero. Non ti appartiene. Tutto il seguito, il concepimento, i nove mesi, la prima poppata, il primo passo, fino ad oggi, tutto questo sei tu. Ma la tua origine non sei tu. Tu sei e resti mistero, prima di ogni possibilità di dire. Ogni origine è unica, assoluta, e tutte le origini sono origini, di una stella come di una formica. Il fenomeno è afferrabile, l'origine no.
Noi non possiamo risalire alla nostra nascita, all'origine, o – se volete – all'Origine. L'origine ci è data. Noi siamo dati, dati a noi stessi, e all'esistenza. Siamo creati, dice la tradizione, quindi siamo creature, contingenti, per nulla necessari. Poi siamo anche noi creatori, aggiungiamo realtà, agiamo e mutiamo, cambiamo le cose, e noi stessi. Possiamo fare mille cose, eccetto la nostra origine. Questo ci segna essenzialmente.
Raimon Panikkar dice che questo fatto è la fede di tutti, che coincide con la vita, con l'esistenza. Respiriamo e viviamo perché ci affidiamo a quel fatto unico, primo, che è il nostro essere fatti, il nascere. Qualunque cosa facciamo, noi poggiamo su quella base tutta previa, ci fidiamo, ci consegniamo continuamente ad essa. Non sappiamo dire cosa sia. Sappiamo dire che appare quando appariamo noi, anche se non possiamo risalire a vederla, a toccarla.
Solo se abbiamo una vita così disgraziata da maledirla, come Giobbe - “Maledetta la notte che ha detto: è stato concepito un uomo!” - solo allora (forse) non abbiamo fede. Se nel prossimo minuto continui a respirare, tu hai fede nella vita, nell'origine della tua vita, nelle possibilità positive di quell'evento che ti ha estratto non tanto dall'utero di tua madre, ma dal nulla che tu eri. Se lotti per galleggiare sopra la malasorte, per sopravvivere, per un po' di felicità, è perché credi nella tua origine. La puoi chiamare in tanti modi: Dio, la natura, il caso, l'evoluzione, l'ātman, il brahman, come pensi tu, con il linguaggio in cui sei nato o arrivato. In tante lingue e visioni dici una radicale gratitudine di cui sei fatto, che è il tuo fondamentale fatto vitale. Sei vivo perché credi nella tua origine e nello sviluppo di quel mistero. La scienza che vede e tocca, parla del seguito, ma quell'inizio è mistero, quel silenzio che precede la parola, quel terreno invisibile della parola, del tentativo di dire ciò che non si poteva dire, non si sapeva dire. Abbiamo e non abbiamo la nostra origine.
Questa fede coincide con la vita, prima di essere detta con una parola, una immagine, una credenza, una storia, un simbolo, ed è fede universale. Tu non lasciare che lottino tra loro le tante diverse parole umane che cercano di dar nome a quello zampillo originario che è in te, a quella assoluta sorpresa, origine mai vista, che sei tu. Lascia che sia detto e pensato in tanti modi: le vie per guardare lontano, all'ultimo - o al primo - orizzonte, sono tante, e tutte mormorano un tentativo, e nessuna lo afferra, nessuna lo de-finisce. Vie gloriose delle sapienze umane, e tutte vie balbettanti.
Festeggiamo il tuo compleanno, il tuo natale, la tua origine, che di nuovo ci sorprende, anche se sei già carico di anni. E non allontaniamoci, non allontanarti tu dalla tua nascita. Cammina oltre, dovunque puoi, ma non allontanarti da là. Là tu sei, dovunque tu vada. Là, nell'origine, tu consisti, qualunque singola unica persona tu sia diventata in seguito. Tu, come me, come tutti, sei quell'origine, eppure tu non puoi afferrare e tenere in mano quel tuo inizio. Siamo tutti al contempo ricchi e poveri di quella scintilla creatrice, sorta da un campo di mille origini, una dall'altra, eppure ognuna unica e nuova. Tu sei solo tu, ma non sei assolutamente solo tu. Tu, io, tutti siamo figli. Dunque, anche fratelli e sorelle. Stiamo cercando chi siamo, anche dopo tanti compleanni. Se siamo fatti di origine, di inizio, di aggiunta, di nuovo, e se abbiamo proseguito ad aggiungere, a dar vita, ad essere vivi, se è così, che cosa ancora si compirà di questa sorpresa che è la vita?
(e. p.)
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